IL SEGRETARIO GENERALE – All’Europarlamento Jens Stoltenberg rivendica il rifiuto di 2 anni fa a Putin: “Proposte irricevibili”. “Nell’autunno del 2021, il presidente russo Vladimir Putin ci inviò una bozza di […]

(DI SALVATORE CANNAVÒ – ilfattoquotidiano.it) – “Nell’autunno del 2021, il presidente russo Vladimir Putin ci inviò una bozza di trattato: voleva che la Nato firmasse l’impegno a non allargarsi più. Naturalmente non lo abbiamo firmato”. Nel giorno in cui il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, viene audito dalla commissione Affari Esteri del Parlamento europeo, e sottolinea i successi dell’esercito ucraino – “Avanza di cento metri al giorno” – e i fallimenti russi – “Era il secondo esercito al mondo, oggi è il secondo esercito in Ucraina” – l’affermazione che colpisce maggiormente è quella che ammette la rigidità della Nato rispetto alle proposte di trattativa da parte russa.

Abbaiare a Mosca.
Stoltenberg conferma, agilmente, l’immodificabilità del progetto espansivo della Nato, quello che induceva così il pontefice a denunciarne “l’abbaiare alle porte della Russia”.

Il segretario Nato sottolinea le condizioni proibitive chieste da Mosca: “Voleva che rimuovessimo le infrastrutture militari in tutti i Paesi entrati dal 1997, il che voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la Nato dall’Europa Centrale e Orientale, introducendo una membership di seconda classe. Lo abbiamo rifiutato e lui è andato alla guerra, per evitare di avere confini più vicini alla Nato”. Le richieste russe, come vedremo fra poco, sembravano un po’ diverse e meno dirompenti, ma in questa affermazione c’è la conferma di una postura aggressiva della Nato che, dopo il crollo dell’ex Urss nel 1991, ha voluto affermarsi come gendarme del mondo. Questo non elimina le responsabilità russe o la sua aggressività imperiale, ma la complessità delle cause va comunque tenuta in conto.

Il piano dello zar.
La Russia aveva presentato le sue “proposte concrete” il 15 dicembre 2021. Il documento fu accolto in Occidente come un diktat anche se gli uomini di Putin lo consideravano comunque una bozza su cui avviare la trattativa. I nove articoli muovevano da un “preambolo” che citava vari trattati, da quello di Helsinki del 1975 sino alla Carta per la sicurezza europea del 1999 per poi sostenere l’impegno delle parti “a non partecipare o sostenere attività che incidano sulla sicurezza dell’altra parte”, a non usare “il territorio di altri Stati per preparare o effettuare un attacco armato” o ad azioni che ledano “la sicurezza essenziale” reciproca facendo in modo che le alleanze militari o le coalizioni di cui fanno parte rispettino “i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite”.

Decisivo l’articolo 4: “Gli Stati Uniti s’impegnano a escludere qualsiasi ulteriore espansione verso Est della Nato e a rifiutare l’ammissione all’Alleanza degli Stati che facevano parte dell’Unione Sovietica; gli Usa non stabiliranno basi militari sul territorio degli Stati già membri dell’Urss che non sono della Nato né useranno le loro infrastrutture per qualsiasi attività militare né svilupperanno con essi una cooperazione militare bilaterale”. Richiesta forte, ma che non metteva in discussione tutto l’Est europeo quanto i soli Paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, gli unici Paesi ex Urss a essere entrati nell’Alleanza, nel 2004. La Russia chiedeva di “non schierare missili terrestri a raggio corto e intermedio” sia fuori dal territorio nazionale che in patria, se questi minacciano l’altra parte, e di “evitare il dispiegamento di armi nucleari al di fuori del territorio nazionale”, nonché “il rientro nei confini” di quanto già dislocato all’estero.

Nel documento riservato alla Nato, le parti si sarebbero impegnate a “non creare condizioni o situazioni che costituiscano o possano essere percepite come una minaccia alla sicurezza nazionale di altre parti”, con una certa “moderazione” nell’organizzazione delle esercitazioni. Per la risoluzione delle controversie si rimandava ai rapporti bilaterali e al consiglio Nato-Russia, con la richiesta di creare hotline di emergenza

Infine la richiesta esiziale per gli sviluppi futuri della Nato: “Tutti gli Stati membri della Nato s’impegnano ad astenersi da qualsiasi ulteriore allargamento dell’Alleanza, compresa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati; le parti che sono membri della Nato non condurranno alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa orientale, del Caucaso meridionale e dell’Asia centrale”. Da notare che all’epoca Putin chiese all’Italia di giocare un ruolo speciale nella “normalizzazione delle relazioni tra Russia e Ue”.

La risposta Nato arrivò a strettissimo giro: “La Russia cambi il suo comportamento provocatorio. Noi non scenderemo mai a compromessi sul rispetto della sovranità territoriale dell’Ucraina”, rispose il 16 dicembre Jens Stoltenberg nel corso di una conferenza stampa con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Per quanto la mossa russa potesse essere un bluff per andare a vedere il gioco Nato, questa rivelò interamente le proprie intenzioni, già ampiamente decise e prefissate.

Espandersi o perire.
La sintesi della risposta occidentale fu la dichiarazione fatta qualche giorno prima dalla Casa Bianca e poi ripetuta dallo stesso Stoltenberg: “È la Nato che decide chi aderisce all’Alleanza, non la Russia”. E questo fu il punto chiave dell’incontro tra Biden e Putin svoltosi qualche giorno prima, il 7 dicembre, sia pure a distanza. Putin chiese di non addossare alla Russia la responsabilità della crisi nei rapporti con l’Occidente “poiché è la Nato che sta facendo pericolosi tentativi di conquistare il territorio ucraino e sta aumentando il suo potenziale militare ai nostri confini”. La risposta di Biden fece capire che le decisioni erano state già prese, la Nato non aveva alcuna intenzione di modificare la propria strategia e la mossa russa era comunque giudicata tardiva o poco plausibile. In quei giorni la prestigiosa rivista Usa, Foreign Affairs, suggeriva l’ingresso degli Usa nel “formato Normandia” (Francia, Germania, Russia e Ucraina) incaricato di monitorare gli accordi di Minsk II del 2015. Una mossa che avrebbe potuto aiutare Kiev a sentirsi meno minacciata da Mosca e contestualmente garantire al Cremlino un dialogo diretto con la Casa Bianca e una sua maggiore attenzione sullo scacchiere europeo. Ma nulla fu preso in considerazione, in particolare nessun ruolo decisero in quel momento di giocare i Paesi europei, puri spettatori di un conflitto che rinverdiva i nefasti riti della Guerra fredda.