MOTIVAZIONI – L’assoluzione di Claudio Foti assomiglia molto alla vecchia insufficienza di prove. Gli interrogativi inquietanti sul metodo “Hansel&Gretel” restano tutti in piedi

(DI SELVAGGIA LUCARELLI – ilfattoquotidiano.it) – Le motivazioni della sentenza d’appello che ha assolto Claudio Foti dopo la condanna a quattro anni in primo grado sono una lettura molto interessante. Per chi segue la vicenda di Bibbiano oltre i titoli dei giornali e gli slogan politici infatti, è evidente come il processo scaturito da un numero sospetto di segnalazioni di abusi sessuali nel 2018 da parte dei servizi sociali della Val d’Enza alla procura sia tutt’altro che finito. Tutt’altro che “una bolla”, come qualcuno si è affrettato a scrivere. Bisogna scindere con precisione chirurgica quello che è il coinvolgimento di Claudio Foti nella vicenda Bibbiano (molto più laterale rispetto ad altri drammatici eventi quali Rignano Flaminio, Sagliano Micca o il caso Angela Lucanto) e quello che sta raccontando il suo processo.

Claudio Foti è stato assolto per non aver commesso il fatto dall’abuso di ufficio e perché il fatto non sussiste dal reato di lesioni dolose gravi. È stata confermata anche l’assoluzione dall’accusa di frode processuale.

Leggendo le carte però, risulta evidente come i servizi sociali e il comune avessero ideato un intricato sistema per scavalcare una serie di ostacoli che avrebbero impedito al centro Hansel e Gretel di Claudio Foti di praticare la terapia a Bibbiano. Proprio nelle motivazioni dell’assoluzione il giudice scrive: “Presso la cura si svolgeva di fatto attività privata pagata con denaro pubblico in assenza di qualsivoglia procedura”. E aggiunge che i documenti evocati da Foti per difendersi non dimostrano nulla, anzi “in pieno spregio della normativa in materia di normativa di appalti, non contengono neppure i requisiti minimi per assurgere al rango di determina a contrarre”. In sintesi, gli illeciti principali erano due: Unione Val d’Enza non poteva esternalizzare i servizi di terapia e comunque non avrebbe mai potuto farlo senza passare attraverso una procedura pubblica. Invece, non solo la psicoterapia era stata affidata a Hansel e Gretel senza alcuna procedura, ma gli psicologi venivano pagati in modo da aggirare eventuali controlli.

Per esempio, la madre di un minore racconta di come venisse rimborsata per la terapia del figlio tramite assegno dai servizi sociali. Poi lei doveva andare in una banca indicata da loro, farselo cambiare con denaro contante e poi eseguire un bonifico ad Hansel e Gretel. A un certo punto, avviene un fatto grottesco: alcuni membri dei servizi sociali chiedono perfino alla donna che cucinava per i ragazzi di ricevere lei stessa assegni di rimborso per la psicoterapia e poi di fare dei bonifici ad Hansel e Gretel.

Un escamotage perché non vi fossero pagamenti diretti dell’ente a Hansel e Gretel e Hansel e Gretel potesse apparire con finalità non profit.

Foti però, ha ritenuto il giudice, “non ha avuto una compartecipazione nell’attività amministrativa illegittima, ma ha eseguito le prestazioni illecitamente affidate”. In pratica, erogava servizi illecitamente e veniva pagato illecitamente, ma a sua insaputa.

Foti ha tratto vantaggio dalla situazione, afferma il giudice, ma non perché abbia esercitato pressioni o in virtù di buoni rapporti. Ne è coinvolto, sì, ma come “mero beneficiario”. Insomma, come nel Titanic ai piani sotto maneggiavano carbone, finivano in risse, c’erano le cuccette con le pulci, poi c’era chi stava sul ponte, sorridente e inconsapevole.

Riguardo la psicoterapia somministrata da Foti a una ragazzina, psicoterapia che in primo grado era costata a Foti una condanna molto dura (è accusato di aver ingenerato in lei il convincimento di aver subito abusi sessuali dal padre e di averle causato danni psichici importanti), nella sentenza di primo grado il giudice aveva stabilito che “l’attività di Foti si era innestata in una serie di complicati e sfortunati eventi di vita della ragazza, causandole ulteriori sofferenze e disturbi diagnosticati”. Anche il giudice d’appello ha dovuto dunque stabilire se i disturbi della ragazza (sindrome borderline) fossero riconducibili alla psicoterapia di Foti.

E qui Claudio Foti riceve una grande lezione dallo stesso giudice che lo assolve, perché quest’ultimo spiega come sia impossibile stabilire con certezza la colpevolezza dello psicologo. Afferma infatti che la genericità della relazione della consulente del pm non chiarisce la genesi della patologia della ragazza. E che l’accertamento della genesi del disturbo borderline è una questione complessa, che deve tenere conto di tanti fattori, dalla componente genetica a esperienze di abusi sessuali, ma anche a separazioni dei genitori o lutti. Il giudice fa riferimento proprio a elaborati scientifici presentati dalla difesa.

Insomma, è Foti che a suo supporto porta documenti che accertano la complessità della materia. Quella stessa materia che in tante consulenze in casi famosi come Rignano lui ha invece semplificato, intravedendo come segnale inequivocabile di colpevolezza di un adulto anche un semplice disegno o il silenzio di un bambino.

Il giudice, insomma, non vede con certezza il nesso causale tra la condotta terapeutica di Foti e la patologia della ragazza. Parla di incertezza probatoria e, quindi, lo assolve in dubio pro reo. Il giudice – e questo è un passaggio fondamentale – decide anche di non entrare nel merito della correttezza della metodologia della terapia eseguita da Foti. Questo perché ritiene, appunto, che giudice e consulenti nella sentenza di primo grado non abbiano approfondito a sufficienza quali potessero essere state le altre eventuali cause del disturbo della ragazza. Un passaggio piuttosto pilatesco. In caso di disturbi pregressi della ragazza infatti, una psicoterapia orientante e un’alterazione psichica di un minore può non solo complicare un quadro, ma anche rendere un paziente più influenzabile, fragile. Dunque una valutazione sulla metodologia sarebbe stata importante.

Alla fine, sottolinea il giudice, l’assoluzione di Foti anche dall’accusa di frode processuale si basa sul fatto che Foti agisse per ragioni economiche e ideologiche. Infatti, “a un certo punto ipotizza abusi seriali e satanici perfino nel suo nucleo familiare tanto da somministrare Emdr anche sul figlio”. Quindi, dice il giudice, lui non agiva in finzione di eventuali processi, ma per “una sua visione ideologicamente orientata delle modalità di trattamento dei minori”. Che poi, in fondo, è proprio quello di cui hanno avuto terrore, per anni, avvocati e imputati.