Mentre l’Italia si occupa della tragedia di Brandizzo, Matteo Renzi va di fretta e si ferma al “brand”: “Ci candideremo alle elezioni europee con il brand del Centro. Non saremo soli, avremo nove mesi di tempo. Spero di […]

(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – Mentre l’Italia si occupa della tragedia di Brandizzo, Matteo Renzi va di fretta e si ferma al “brand”: “Ci candideremo alle elezioni europee con il brand del Centro. Non saremo soli, avremo nove mesi di tempo. Spero di rubare voti sia a Forza Italia sia al Pd: Italia Viva non lascia ma raddoppia”. Allegria! Secondo il Foglio amico, l’ambizione (mitomania?) dell’ex rottamatore è diventare il prossimo presidente del Consiglio europeo: “Anche questa volta, faccio all-in”, avrebbe detto ai suoi usando la metafora del poker. Dal gioco d’azzardo al mercato, fermiamoci un momento sul sopracitato brand, ovvero il marchio di un prodotto commerciale: Renzi (che ama gli anglismi, basta pensare al “Jobs act” con cui ha graziosamente assassinato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori) ci spiega che vuol vendere agli elettori un prodotto che non si chiama più Italia Viva (la quale è, in effetti, moribonda) ma Il centro. Qualcuno ricorderà quando nel 2016, di ritorno dal G20 cinese, l’allora premier parlò del benchmark positivo italiano (un indice di riferimento usato come termine di paragone, specie in finanza). L’Italia tuttavia è uno Stato, non una Spa o un fondo d’investimento, anche se ci tocca sentir frequentemente parlare di default degli Stati (solo pochi lustri fa il fallimento di uno Stato era impensabile). Lo scivolamento verso la privatizzazione della res publica è inesorabile e il linguaggio politico sporcato di termini mercantili ne è lo specchio.
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando il millennio albeggiava, Renzi aveva già avuto il suo momento di gloria alla Ruota della Fortuna (1994) e l’Italia faceva propria l’idea friedmaniana che le scuole sono più efficienti se sottoposte alle leggi del mercato e se entrano in concorrenza tra loro per attirare i clienti, cioè gli studenti. Le riforme del sistema educativo dei primi anni Duemila (compresa quella universitaria, del 3+2, già dal nome una roba da volantino del supermercato) formalizzano il declino del sistema scolastico italiano, che progressivamente ha ceduto all’aziendalizzazione della formazione (i crediti, l’autonomia intesa come competizione tra istituti, la scuola-lavoro, l’interdipendenza tra scelte formative e necessità del mercato). In un’intervista al Fatto qualche anno fa, Claudio Magris ricordò quando Luigi Berlinguer, da ministro, predicava appunto che gli studenti sono clienti. “Una volta gli dissi: ‘No, perché il cliente per definizione ha sempre ragione’. Se io vado al ristorante e sui maccheroni al posto del formaggio chiedo lo zucchero, il cameriere me lo porterà. Ma se uno studente mi dice che Dante ha scritto I promessi sposi, mica posso dirgli: ‘In genere no, ma per te sì’”.
Lo slittamento concettuale tra clienti e studenti ha prodotto i danni che sono sotto gli occhi di tutti e così l’equazione consumatori-elettori non farà altro che aumentare la distanza tra rappresentanti e rappresentati. Senza dire che l’idea non è proprio nuova. Su Repubblica Filippo Ceccarelli ricordava ieri le brevi e tristi avventure di quanti ci hanno provato: “‘Il cendro – proclamava De Mita roteando gli occhietti come capocchie di spilli – è un modo di governare’. La Cosa Bianca, la Grande Cisl, Quagliariello, Pizzarotti, magari Moratti, alla fine pure Gigino Di Maio, adesso anche Fioroni, Signorile e Cateno De Luca”. Il centro è uno spazio politico che non esiste, ma gli orfani della Diccì ci hanno scassato i cabbasisi così tanto che – dieci anni fa – i ragazzi dello Stato Sociale diventavano famosi con una canzone che diceva “Mi sono rotto il cazzo del facciamo quadrato nel grande centro”. Non solo per questo il rebranding renziano sarà una vendita fallimentare, lontana anni luce dal 40% delle Europee 2014.
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Che individuo ripugnante!
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Da rottamatore a raccattatore è un attimo….
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Renzi deve andarci piano con il brand Vecchia Romagna con etichetta nera. L’alcolismo infatti può causare cirrosi epatica, gastriti, ulcere, cardiopatie, infarti, ictus e deficit cognitivo. E non è tranquillizzante se per quest’ultimo non rischia nulla perché ce l’ha già dalla nascita.
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