In una delle sue molte battute fulminanti, una volta Daniele Luttazzi demolì Letizia Moratti così: “La Moratti non è un ministro. È l’idea che una parrucchiera ha di un ministro”. Frase che viene bene, anzi […]

(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – In una delle sue molte battute fulminanti, una volta Daniele Luttazzi demolì Letizia Moratti così: “La Moratti non è un ministro. È l’idea che una parrucchiera ha di un ministro”. Frase che viene bene, anzi benissimo, per Giancarlo Giorgetti, evanescente quanto potente ministro leghista graditissimo ai giornaloni ma inesistente in termini di consenso effettivo. Se si candidasse come leader, prenderebbe persino meno voti di Morgan o Povia. O addirittura di Renzi. Eppure, o forse proprio per questo, lo incensano a getto continuo.

Giorgetti è il politico perfetto da stimare se non sai nulla di politica (ma credi di saperne). Vestito sempre bene, i modi puntualmente patinati e finto-garbati. Quasi mai in tivù, quindi poco divisivo. Da bosco e da riviera, senza una linea politica personale, ma unicamente con una inesausta voglia di potere: Giorgetti non solo non combatte l’evanescenza, ma la usa pure come vanto personale e bussola ideologica (sic) interiore. È così spuntato, cerchiobottista e nebuloso che sarebbe perfetto come direttore del Foglio.

Nato nel 1966 a Cazzago Brabbia (Varese), di cui è stato sindaco. Ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Meloni. Deputato e vicesegretario federale della Lega. Segretario del Consiglio dei ministri nel governo Conte-1, ministro dello Sviluppo economico nell’esecutivo Draghi. Laurea in Economia aziendale alla Bocconi. Cattolico praticante e grande estimatore di Papa Ratzinger (un po’ meno di Papa Bergoglio).

Dal palco sempiternamente fine a se stesso di Cernobbio, Giorgetti è tornato a picconare: “A pensare al Superbonus mi viene mal di pancia, ha effetti negativi sui conti pubblici, ingessa la politica economica”.

In realtà la questione legata ai bonus edilizi è meramente contabile. L’esecutivo Meloni si è reso conto (persino lui) che gli interventi decisi sei mesi fa per ridurre l’impatto sui conti pubblici non stanno ottenendo alcun effetto. E allora tira in ballo le sempre in voga “truffe”, da cui oltretutto il 110% è stato quasi del tutto immune. Parole a caso e in libertà, che nella (cosiddetta) politica italiana vanno benissimo. E che anzi, per mancanza di avversari ed eccesso di parolai, rendono financo Giorgetti uno statista.

Nel frattempo il super ministro (?) parla ora di “manovra prudente”, con buona pace delle promesse smargiasse di Meloni (e derivati) in campagna elettorale. Se esistesse un campionato del mondo di Donabbondismo, Giorgetti se la giocherebbe sino in fondo con lo scapigliato Carlo Conti e certi maestrini di ovvietà mascherati da opinionisti. La sua capacità di dire tutto e nulla, soprattutto nulla, non teme rivali. Oppositore eterno di Salvini, non si sporge mai fino in fondo e – quando si tratta di affondare il colpo – si nasconde sempre. Lodatore di Conte da ministro di Conte, più draghiano di Draghi quando c’era Draghi. Oggi più meloniano di Meloni, soprattutto quando si tratta di distruggere le cose fatte da Conte (e da Giorgetti) e da Draghi (e da Giorgetti). Compreso il Superbonus, che adesso Giorgetti smantella ma che la stessa Lega esaltava fino a due mesi fa (quando peraltro l’aveva rimessa alle villette). Coerente come Casini, anzi meno. Restano poi leggendarie altre sue due perle, come l’aver puntato tutto su Di Maio per affossare i 5 Stelle (gran mossa!) e l’indimenticabile fesseria sulla sanità territoriale ormai superata (la disse un anno prima del Covid).

Più che un politico, Giorgetti è un Maradona minore del paraculismo. Un Picasso senz’arte né voti del viaggiar sempre a favor di vento e stampa. In un paese normale, varrebbe meno di un 45 giri di Jerry Calà. Da noi invece passa quasi per De Gasperi, e tutto sommato è giusto così. Daje Gianca’!