Premierato e Autonomia. Nientemeno che “categoricamente”. Così l’ufficio stampa di Maria Elisabetta Alberti Casellati, di mestiere ministra per le Riforme istituzionali, ieri mattina ha smentito all’Ansa che la bozza […]

(DI MARCO PALOMBI – ilfattoquotidiano.it) – Nientemeno che “categoricamente”. Così l’ufficio stampa di Maria Elisabetta Alberti Casellati, di mestiere ministra per le Riforme istituzionali, ieri mattina ha smentito all’Ansa che la bozza di legge costituzionale pubblicata dal Fatto mercoledì fosse il testo che andrà in Consiglio dei ministri: le 24 ore in cui la notizia è rimbalzata dappertutto devono essere servite allo staff dell’avvocata berlusconiana a levigare l’avverbio. Il problema è ben noto al governo: il premierato – che non esiste oggi in nessun Paese al mondo – ha come unico effetto, e forse scopo, quello di depotenziare la figura del Presidente della Repubblica. Certo, la bozza uscita dal ministero che il Fatto ha potuto visionare va persino più in là: il presidente del Consiglio eletto direttamente (insieme alle Camere con legge maggioritaria) nomina e revoca i ministri e non può essere sfiduciato pena la fine della legislatura. Una sorta di affronto al Quirinale, a cui vengono lasciati poteri puramente simbolici, un affronto che Casellati vorrebbe evitare lottando contro la logica: sono giorni che ripete che il suo ddl viene limato per “evitare che la figura del capo del governo possa mettere in discussione i poteri del capo dello Stato”. Ma com’è possibile se il primo sarà eletto a suffragio universale e il secondo no? Sergio Mattarella o chi per lui potrà ad esempio, in caso di sfiducia, nominare un sostituto trovando o costruendo un’altra maggioranza in Parlamento a fronte di un’elezione diretta?
Il premierato “all’italiana” (e con tanto di Italicum o Porcellum resuscitati dopo la bocciatura della Consulta) non può non ledere i poteri del capo dello Stato, è inevitabile, come non può non sottomettere ancor più all’esecutivo un Parlamento indebolito da trent’anni di governi legislatori. Giorgia Meloni, però, vuole la sua bandierina e lo scontro col Colle sarà ufficialmente aperto tra poco: “La proposta di legge costituzionale è pronta”, ha detto lunedì dopo il Consiglio dei ministri. Non resta che preparare i popcorn.
Settembre è anche il mese in cui tornerà a correre, o almeno a zoppicare, il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata: il ministro leghista è convinto di portare a casa la legge – il quadro dentro il quale saranno poi devoluti maggiori poteri alle Regioni – entro l’inizio del 2024. Il rischio è che ce la faccia, ancorché cedendo su aspetti non secondari, spinto persino dal Comitato di esperti da lui stesso nominato e dalla sua maggioranza. Ad esempio la definizione dei Lep – i Livelli elementari delle prestazioni che lo Stato deve garantire in tutto il territorio della Repubblica – dovrà passare dalle Camere, non basterà il concerto tra qualche tecnico e il governo pro tempore. Ancora: la parte economica della devoluzione (la compartecipazione ai tributi) dovrebbe alla fine essere rivista di anno in anno per evitare che i territori più ricchi diventino sempre più ricchi, mentre lo Stato centrale si trova costretto persino a tagliare le spese per quelli più poveri per rispettare i vincoli di bilancio.
Il problema più grosso di Calderoli sono proprio i soldi: i nuovi Lep, per non essere una presa in giro, dovranno comportare maggiori spese statali e le risorse per pagarli non ci sono. Devolvere i poteri prima di aver detto come saranno finanziati i Livelli elementari delle prestazioni è il vero obiettivo del ministro (e della Lega), ma adesso anche la maggioranza fa resistenza. Il treno dell’autonomia, ha spiegato il presidente della Calabria Roberto Occhiuto (FI), “ha tre vagoni”: più poteri alle Regioni, “i diritti sociali e civili non più quantificati secondo il criterio ingiusto della spesa storica, ma secondo i fabbisogni” e “la perequazione” (economica verso Sud). Per far muovere gli ultimi due vagoni “servirebbero risorse importanti, ma solo a parità di Lep posso dire di sì all’autonomia differenziata”. È ancora il berlusconiano Occhiuto, non Michele Emiliano.
Da mandare a casa…..tutti…ma da subito….!!!
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Solo a casa ? C’è chi potrebbe esprimersi più pittorescamente.
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Pe’ fa’ i gigli marinar c’è vonn e ¢azz e pescatur ..Questi due non hanno ne arte e ne parte ma quali riforme vogliono fare.🤔
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