Che siano ferie meritate è opinabile, ma di sicuro saranno lunghe: quasi cinque settimane

(di Sebastiano Messina – repubblica.it) – Non c’è nessun cartello sui solenni portoni di Montecitorio e di Palazzo Madama, ma da ieri (venerdì 4 agosto) il Parlamento è chiuso per ferie. Che siano vacanze meritate è opinabile, ma di sicuro saranno lunghe: quasi cinque settimane.
«I lavori in Aula riprendono martedì 5 settembre alle ore 15» annuncia il sito della Camera, dalla quale sono spariti gli onorevoli, che alle 15,45 in punto hanno afferrato i loro trolley e sono sciamati fuori dal palazzo con destinazione Fiumicino o Termini.
In realtà il calendario di Montecitorio prevedeva altre sedute nella prossima settimana, ma quando i deputati sono venuti a sapere che i senatori sarebbero andati in vacanza prima di loro — l’altroieri, giovedì 3 agosto— in nome del bicameralismo perfetto hanno chiesto e ottenuto di anticipare la Grande Fuga, accelerando il calendario dei lavori.
Così nelle ultime 48 ore alla Camera era tutto un susseguirsi di votazioni a tambur battente, di dichiarazioni rapide e di richiami al rispetto dei tempi, sotto la frusta vellutata del vicepresidente forzista Giorgio Mulè. Il quale non negava la parola a nessuno, ma appena qualcuno partiva per la tangente lo fermava con il suo sarcasmo siculo.
Come ha fatto quando il pentastellato Riccardo Riccardi, che è un uomo di teatro, partendo dall’obbligo della cravatta ha cominciato un lungo cappello chiamando in causa «una ministra che mente» (Santanchè) e «un ministro che insulta un prete antimafia» (Salvini). Mulè lo ha interrotto: «Onorevole, il suo cappello non può diventare un sombrero».
E dunque tutti guardavano l’orologio, mentre ascoltavano il viceministro Leo che parlava della delega fiscale. Si sentiva il profumo irresistibile di quella che il piddino Luciano D’Alfonso ha chiamato «l’estività», sfidando la frusta di Mulè: «Non voglio disturbare il velocismo di questa seduta…». «È efficienza, non velocismo. Efficienza!», gli ha risposto l’altro.
Purtroppo Ferragosto capita una sola volta l’anno, e dunque non possiamo aspettarci una simile prova d’efficienza negli altri undici mesi — anzi dieci, visto che uno è quello delle vacanze. Con l’eccezione di Natale, si capisce, quando partirà un altro conto alla rovescia verso il panettone e lo spumante.
Tra l’una e l’altra scadenza, la fretta svanisce e i tempi di dilatano, sempre all’interno dell’orario di lavoro degli onorevoli, dal martedì mattina al giovedì pomeriggio.
Certo, potevano restare a Roma una settimana in più. E magari votare adesso, senza rimandarle a settembre, le leggi e le riforme che sono rimaste nel cassetto.
Ma tutti ricordano l’estate del 2012, quando il presidente del Consiglio Mario Monti — dopo che un suo sottosegretario aveva proposto agli italiani di rinunciare a una settimana di ferie per far salire il Pil — osò suggerire che i parlamentari dessero l’esempio lavorando qualche giorno in più ad agosto.
Allora mancò poco che nel palazzo scoppiasse una rivolta, e da quel momento nessun governo ci ha riprovato. Anzi, il calendario delle vacanze si è allungato fino ai 40 giorni del 2017, e neanche il presidente grillino Roberto Fico riuscì a frenare l’estività degli onorevoli, chiudendo la Camera per 38 giorni.
Ma non tutte le estati sono uguali. E pensando agli italiani che non potranno permettersi neanche una settimana a Coccia di Morto, forse un segno di austerità i parlamentari avrebbero potuto darlo.
E farsi perdonare con una settimana in più di efficienza il passo falso di aver chiuso la stagione mettendo all’ordine del giorno, invece del salario minimo, l’aumento dei loro stipendi.