Dopo la decisione della Corte, le inchieste di Firenze sulle stragi di mafia e di Milano su Visibilia dovrebbero subire conseguenze immediate

Chat e mail dei parlamentari vanno autorizzate: sulle inchieste Dell’Utri e Santanchè gli effetti della sentenza della Consulta su Renzi

(di Liana Milella – repubblica.it) – ROMA – Il caso Dell’Utri a Firenze e l’inchiesta Santanchè a Milano. Sono queste, per ora e nell’ovvio riserbo dei magistrati, le due inchieste che dovrebbero sottostare subito alle nuove regole stabilite dalla Consulta per il caso Renzi.

La sentenza – la numero 170 di quest’anno – resa pubblica ieri dalla Corte stabilisce un principio rigido. Chat e mail del parlamentare, oppure di altre persone che gli scrivono, conservate in dispositivi elettronici che appartengono non a lui ma a terze persone, se vengono sequestrati dall’autorità giudiziaria nell’ambito di un’inchiesta che riguarda il parlamentare, devono essere trattati con le stesse regole della corrispondenza. Perché non sono qualificabili come documenti. Quindi, una volta avvenuto il sequestro, va richiesta subito l’autorizzazione, sospendendo la procedura di estrazione dei messaggi dalla memoria dello smartphone.

Se questa è la regola, ormai obbligatoria dopo la sentenza della Corte, i primi effetti più evidenti riguarderanno proprio il sequestro del cellulare dell’ex senatore Marcello Dell’Utri fatto dai magistrati di Firenze, guidati dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, che stanno indagando sulle stragi di mafia del 1992-1993 e sui possibili mandanti.

Allo stesso modo, e lo stesso problema, si porrà anche per l’inchiesta milanese sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè per il falso nei bilanci della società Visibilia editore tra il 2016 e il 2020. Perché le regole della Corte costituzionale non valgono soltanto per le chat contenute nei cellulari, ma anche per i messaggi via mail. E proprio le e-mail tra l’allora amministratrice di Visibilia e i dirigenti dell’azienda sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza.

Le nuove regole imposte dalla Consulta con la sentenza del giudice Franco Modugno obbligano i magistrati a non “aprire“ neppure le chat o i messaggi via mail, perché prima di farlo le Camere di appartenenza devono dare un’autorizzazione. Che, con l’attuale maggioranza, si può già considerare negata.

Del resto anche il Pd, nel caso di Renzi, aveva votato al Senato per sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, quando si è posto il problema delle sue chat. Aveva prevalso la tesi che esse fossero assimilabili alla corrispondenza, e non a semplici documenti per i quali non è necessaria la richiesta di autorizzazione.

L’allora senatore Piero Grasso aveva anche depositato un disegno di legge per cambiare la legge del 20 giugno 2003, la numero 140, che attua l’articolo 68 della Costituzione, prevedendo che “per i contenuti, di qualsiasi forma, riferibili a membri del Parlamento rinvenuti in un dispositivo elettronico di terzi sottoposto a ispezione o sequestro, si applica la procedura di cui al presente articolo“.E cioè la richiesta di autorizzazione alle Camere di appartenenza. “Un necessario adeguamento – scriveva Grasso – della legge costituzionale all’evoluzione tecnologica con lo scopo di comprendere tutte le più recenti modalità di comunicazione attraverso strumenti telefonici o informatici”.