Dai bilanci disastrosi alle omissioni in Senato, dai prestiti del fondo Negma ai trucchi con la Cig pandemica: perché la ministra dovrebbe andarsene. Per Daniela Santanchè è il giorno del giudizio. Alle 10 nell’aula di Palazzo Madama […]

(DI NICOLA BORZI E THOMAS MACKINSON – ilfattoquotidiano.it) – Per Daniela Santanchè è il giorno del giudizio. Alle 10 nell’aula di Palazzo Madama si vota la mozione di sfiducia individuale dell’opposizione nei confronti della ministra del Turismo per le sue vicende da imprenditrice. Ma sarà un giudizio a salve e indolore. Per passare serve la maggioranza assoluta dell’aula, vale a dire il 50% più uno dei suoi membri. I partiti di governo hanno già fatto sapere che non la voteranno, lasciando alla magistratura l’incomodo di fare il suo corso e determinare così – sempre e solo di riflesso – la soglia oltre la quale un ministro della Repubblica non può stare al suo posto un minuto di più.

Anche i precedenti dicono che oggi difficilmente succederà qualcosa degno di nota: dal 2001 a oggi si sono dimessi 32 ministri, ma mai a seguito del voto su una mozione di sfiducia e l’unico precedente risale a quasi 30 anni fa (Mancuso nel 1995). Anche stavolta andrà come in passato, perché sul “caso Santanchè” – pur diventato sempre più ingombrante per il governo, come dimostrano anche i sondaggi – la linea dell’esecutivo resta attendista: meglio rimandare la decisione mescolandola a voci estive di rimpasto che assumersi la responsabilità diretta di scaricarla, aprendo una crepa capace di risucchiare la stessa premier.

Su cosa sono chiamati a esprimersi i senatori?

Non certo sull’esito di procedimenti giudiziari ancora in corso, giacché la mozione si limita a richiamare alcuni passaggi delle perizie tecniche depositate, bensì sull’aspetto politico della vicenda, ovvero “sulla sua tendenza a considerare le regole del mercato, le regole sindacali, previdenziali come orpelli di impaccio alla libertà imprenditoriale” recita il testo depositato il 5 luglio dal M5S a prima firma Stefano Patuanelli, a cui si è aggregato il gruppo Pd-Avs, mentre il Terzo Polo è spaccato. “Su fatti che minano fortemente la sua credibilità e pongono un grave pregiudizio sulle sue capacità a ricoprire una carica governativa di primo piano e di piena rappresentanza politica”. E tanti, forse troppi, ce ne sono.

“Mai indagata”, ovvero la grande balla

Il 5 luglio scorso, la ministra non costretta e anzi sconsigliata da chi le sta vicino, era intervenuta di sua sponte nell’aula di Palazzo Madama per fornire la sua versione dei fatti dopo le inchieste giornalistiche, le indagini avviate dalla Procura di Milano e varie interrogazioni dell’opposizione. Un intervento a inciampo immediato: in aula giura sul suo “onore” di non essere indagata come scrivono i giornali (che minaccia di querelare) e sventola il casellario giudiziario che riporta “nulla”. A stretto giro però si capisce che è la prima di tante bugie. La Procura fa filtrare la conferma spiegando che il nome era iscritto il 5 ottobre ma secretato, ma tre mesi dopo ai legali della ministra sarebbe bastato fare la stessa istanza per leggerlo. Proprio Il Fatto ha poi scoperto che la ministra era per certo a conoscenza dell’avviso di garanzia almeno da quattro mesi: il 27 marzo 2023 lei stessa, in qualità di azionista di riferimento di Visibilia Srl, approvava con la propria firma la chiusura dei conti in cui sono descritte le perquisizioni avvenute nel frattempo, nonché l’esistenza delle “informazioni di garanzia” (comunicate il 2 marzo). Tutto questo non c’è nella mozione, perché si è appreso solo successivamente all’informativa della ministra. Ma anche al netto di questo, la mozione passa in rassegna tutte le grane emerse negli ultimi sei mesi.

La grana Ki Group: debiti, Tfr e aiuti Covid

La prima grana citata riguarda Ki Group Srl, società attiva nel biologico gestita dalla ministra fino al 2022. In aula aveva sostenuto di non occuparsene, ma è stata smentita dagli ex dipendenti (presenti quel giorno) secondo i quali era proprio lei a impartire le direttive. Ki Group ha accumulato 12 milioni di debiti, compresi i Tfr degli ex dipendenti licenziati e mai pagati, che hanno depositato istanza di liquidazione giudiziale. Nel piano di rientro proposto per non fallire, bocciato dai consulenti del tribunale, si scopre che la società non intende rimborsare 2,7 milioni di contributi pubblici ottenuti come prestito Covid da Invitalia, dunque dallo Stato, tramite il Fondo Patrimonio Pmi.

Editrice di Ciak & C., Tutti i guai di Visibilia

Fu il gioiellino della ministra che edita le riviste CiakNovella 2000 e altri periodici. Ora è la disastrata società su cui si gioca l’osso del collo. Di Visibilia, su cui pende oggi un’istanza di fallimento, Daniela Santanchè è stata la fondatrice, prima azionista di maggioranza fino a ottobre 2021 e presidente fino a gennaio del 2022. Sulla sua gestione sono in corso indagini con ipotesi di bancarotta, falso in bilancio e in ultimo truffa ai danni dello Stato. Visibilia, società quotata dal 2010, avrebbe pubblicato bilanci inattendibili che avrebbero fatto emergere con ritardo un dissesto patrimoniale che sfiora i 10 milioni di debiti dal 2016. Oltre a plusvalenze fittizie, scatole cinesi (Visibilia editore holding, editore spa, srl, editrice srl e concessionaria) e crediti anomali descritti in due perizie dell’accusa. È per questi fatti che la ministra è indagata dallo scorso 5 ottobre insieme ad altre 5 persone che hanno avuto ruoli societari, tra cui la sorella Fiorella Garnero e il compagno Dimitri Kunz d’Asburgo, che è stato presidente. L’indagine sulla capogruppo quotata e su tre collegate ha indotto in extremis Visibilia a pagare 1,4 milioni di debito scaduti col Fisco per evitare la bancarotta: era stata istruita su disposizione dell’ex sostituto procuratore Roberto Fontana, ora al Csm, e di Maria Gravina e dovrebbe chiudersi in autunno.

I prestiti convertibili del Fondo “Negma”

Oltre che su conti e dinamiche societarie, i riflettori della Procura sono puntati anche sulle manovre finanziarie per dare ossigeno alle società sull’orlo del collasso tramite l’emissione di prestiti con obbligazioni convertibili collocate al fondo emiratino Negma (prima ancora Bracknor), che da alcuni anni finanzia anche le imprese quotate del gruppo di Canio Mazzaro, ex compagno della Santanchè. In tutto 5 milioni in 10 tranche dal 2017 all’8 ottobre 2021, data dell’ultimo prestito su cui campeggia il nome della ministra, all’epoca presidente e Ad di Visibilia di cui deteneva il 48,64% delle quote: il risultato è aver fatto crollare la capitalizzazione di Visibilia, passata da 35 milioni a 470mila euro; in 12 mesi appena le azioni sono crollate dal 97%, in danno dei piccoli azionisti. Questo filone nasce da un esposto al Tribunale di Milano, poi girato alla Procura, presentato il 10 giugno 2022 proprio da alcuni azionisti, tra i quali il finanziere Giuseppe Zeno. L’indagine, affidata al pm Paolo Filippini, vuole verificare se l’operatività del fondo è stata regolare e capire perché spesso le obbligazioni si siano trasformate in capitale in poche ore. È poi emerso, anche se la mozione non cita questo fatto, che nel 2022, quando era senatore “semplice” di Fratelli d’Italia, l’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha svolto ruoli legali sia per il fondo Negma sia per la Visibilia della sua collega di partito.

Le furbate con la cassa Covid e la “solidarietà”

È proprio dagli ex dipendenti della galassia Visibilia che emergono le ultime spinose accuse in parte richiamate dalla mozione: quella di aver abusato di aiuti pubblici, su cui la Procura di Milano ha poi aperto un terzo fascicolo, per ora contro ignoti, per truffa ai danni dello Stato. Due le testimonianze chiave, svelate entrambe dal Fatto a novembre e poi riprese da Report. La prima è quella di Federica Bottiglione, ex investor relator officer di Visibilia. Si è licenziata dopo aver scoperto di essere in cassa integrazione a sua insaputa da marzo 2020 a novembre 2021, quando a gestire la società era Santanchè. Visibilia la faceva lavorare pur percependo aiuti pubblici, “lo stipendio era in realtà una nota spese con rimborsi chilometrici”. In precedenza aveva lavorato in Senato sia per Santanchè sia per Ignazio La Russa. La ministra in aula ha negato l’imbroglio, ma ha dovuto ammettere di aver versato gli arretrati sanando la posizione. Idem per gli ex giornalisti delle riviste Ciak e Novella 2000 che formalmente erano in solidarietà al 30% ma lavoravano lo stesso. I giorni “vietati” erano segnati come “recupero ferie”. Hanno fatto causa per questo, la società ha conciliato.