Il presidente del partito: «Sarebbe la fine del giornalismo libero»

ROMA – «La consegna del prigioniero politico Julian Assange agli Stati Uniti significherebbe due cose: la fine della speranza da parte del fondatore di Wikileaks di trascorrere in libertà il resto della sua vita, e la distruzione del mito anglosassone del giornalismo libero, autonomo e indipendente».
A dirlo è l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente del partito «Giustizia, libertà, Repubblica» e numero uno delle Camere penali del diritto europeo e internazionale.
«Partendo dal presupposto che ci sono alcune informazioni di natura politica o militare che, fatte circolare presso il grande pubblico, rischiano di creare danni su scala globale e ferma restando la necessità che le Nazioni abbiano sempre il diritto al segreto di Stato, non possiamo che solidarizzare con Assange e unirci al coro di quanti chiedono che le autorità politiche britanniche pongano il veto alla sua consegna agli americani. Impedire l’estradizione sarebbe un gesto di eccezionale rilevanza che dimostrerebbe che ai giornalisti non è vietato cercare e pubblicare notizie scomode per il potere politico».
«Ai livelli cui si è giunti nel trattare il caso Wikileaks, la verità processuale è malleabile come la creta e può essere plasmata a seconda delle convenienze – prosegue –. Dunque, non è ricorrendo agli strumenti del diritto che sarà possibile salvare Assange, ma alle ragioni della politica».
«Anche la mia attività professionale è stata attenzionata da Wikileaks quando, da giovane avvocato difensore dei familiari delle vittime del regime di Manuel Noriega, a Panama, chiesi e ottenni dall’allora ministro di Giustizia italiano, Nitto Palma, di processare il dittatore a Roma. E, nonostante la circolazione di quelle informazioni potessero rappresentare un pregiudizio per la mia strategia processuale, non ho mai pensato che la censura o peggio ancora l’imbavagliamento del giornalismo d’inchiesta potessero essere una soluzione».
«Peraltro, c’è un altro motivo per cui Assange non dev’essere consegnato a Washington: bisogna evitare infatti che il potere politico, economico e militare degli Stati Uniti instauri un regime di polizia mondiale a cui è impossibile sfuggire. Oggi sul pianeta, da est a ovest, da nord a sud, sono quasi del tutto scomparse le isole di immunità e libertà a causa di trattati e convenzioni bilaterali. Noi siamo contro la chiusura a doppia mandata del diritto alla libertà. Un mondo giusto è un mondo, invece, in cui la libertà di un uomo di sfuggire a persecuzioni e repressioni è tutelata da un porto franco dove potersi rifugiare e, se necessario, rifarsi una vita».
Roma, 24 luglio 2023
L’ufficio stampa
Ma come… Zaky sì liberato e Assange NO??!!
Ah… ho capito: in Egitto c’è un sanguinario dittatore mentre in occidente c’è qualcosa di mooolto “meglio”. C’è il politicamente corretto che non usa la galera come sadico strumento di tortura da far tremare le vene ai polsi come in Egitto. In Occidente il carcere, specialmente a vita, è confortato da condizioni di vita assai meno raccapriccianti che nel paese di al-Sisi. Tre pasti caldi al giorno, attività ricreative, c’è la tv in cella, la biblioteca interna, e puoi anche partecipare alle partite di calcio carcerati/secondini con battute spiritose e manate amichevoli reciproche sulle spalle. Vuoi mettere il carcere egiziano con il carcere anglo-americano?? Suvvia, dài!
Forse non tutti sanno che i f.lli Graviano, mafiosi al 41-bis condannati all’ergastolo, per via di antichi rapporti amichevoli con uno statista (?) recentemente scomparso hanno potuto concepire i loro figli nel penitenziario (nella cella-alcova, come immagino la chiamino) che li ospita. Ahò… mica siamo in Egitto qui?!?
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