Kiev non ha preparato reparti e mezzi di genieri d’assalto. L’opposto di quello che avvenne nel D-Day settantanove anni fa

Nessuno ha aperto la breccia, l’errore della controffensiva ucraina (e della Nato)

(di Gianluca Di Feo – repubblica.it) – Prima del D-Day, gli Alleati spesero mesi per inventare strumenti in grado di scardinare le fortificazioni tedesche. Crearono i “Crocodile” e gli “Avre“ : tank britannici modello Churchill con lanciafiamme per espugnare i bunker e super-mortai per sbriciolare gli ostacoli in cemento. E i “Crab”: carri americani Sherman modificati per aprire un passaggio nei campi minati, grazie a flagelli meccanici che letteralmente frustavano il terreno con catene d’acciaio. Nelle spiagge dello sbarco questi veicoli corazzati sembravano proprio enormi granchi, impegnati a stritolare i capisaldi del Terzo Reich. Il generale Percy Hobart aveva allestito un’intera divisione con centinaia di queste macchine, così insolite da venire chiamate “le follie di Hobart”: erano gli attrezzi che servivano a scassinare il Vallo Atlantico realizzato dal feldmaresciallo Rommel per tenere l’Europa sotto il dominio nazista. E nonostante questo dispendio di tecnologie, ci vollero 84 giorni per sconfiggere le armate germaniche in Normandia.

Prima del D-Day, gli Alleati spesero mesi per inventare strumenti in grado di scardinare le fortificazioni tedesche. Crearono i “Crocodile” e gli “Avre“ : tank britannici modello Churchill con lanciafiamme per espugnare i bunker e super-mortai per sbriciolare gli ostacoli in cemento. E i “Crab”: carri americani Sherman modificati per aprire un passaggio nei campi minati, grazie a flagelli meccanici che letteralmente frustavano il terreno con catene d’acciaio. Nelle spiagge dello sbarco questi veicoli corazzati sembravano proprio enormi granchi, impegnati a stritolare i capisaldi del Terzo Reich. Il generale Percy Hobart aveva allestito un’intera divisione con centinaia di queste macchine, così insolite da venire chiamate “le follie di Hobart”: erano gli attrezzi che servivano a scassinare il Vallo Atlantico realizzato dal feldmaresciallo Rommel per tenere l’Europa sotto il dominio nazista. E nonostante questo dispendio di tecnologie, ci vollero 84 giorni per sconfiggere le armate germaniche in Normandia. Esattamente 79 anni dopo, lo scorso 6 giugno, le brigate ucraine hanno cominciato la grande controffensiva senza premurarsi di avere qualcosa di simile. Hanno dimenticato la lezione di storia militare più antica: per espugnare una fortezza bisogna aprire una breccia, compito affidato ai genieri d’assalto o – nella tradizione italiana – al genio guastatori. Ricordate la terribile scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan”? In mezzo alle raffiche e alla carneficina, una squadra di questi specialisti creava un passaggio nel muro di filo spinato ed eliminava il nido di mitragliatrici: il varco che permetteva ai fanti americani di uscire dal mattatoio di Omaha Beach. Invece i generali di Kiev hanno scatenato l’attacco della linea difensiva più agguerrita dell’era moderna privi di reparti e di mezzi per superare le barriere russe. I giganteschi Leopard 2 sono stati immobilizzati dalle mine, i cingolati Bradley donati dagli Usa hanno terminato la corsa davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche e non c’era nessuno che si occupasse di creare un varco. Non c’erano neppure i tank muniti di gru per rimorchiare i blindati danneggiati: decine di prodigi della tecnologia occidentale restano da settimane abbandonati nei prati, sotto il fuoco dei cannoni di Mosca. I comandanti ucraini infatti hanno completamente ignorato l’importanza dei genieri d’assalto, che nel cuore dei combattimenti gettano ponti sui torrenti, aprono varchi nei campi minati, fanno saltare in aria i fortini, portano via i mezzi colpiti prima che l’artiglieria li distrugga. Kiev non ha schierato nessuno di questi sistemi, spingendo le colonne corazzate verso le trappole piazzate dagli invasori lungo tutta la linea fortificata che blocca la marcia verso la Crimea. I risultati si vedono: la controffensiva non avanza da 48 giorni. Per avere un termine di paragone, la prima battaglia di El Alamein è durata 19 giorni; la seconda 26; quella delle Ardenne si è conclusa in 42 e l’enorme scontro di Kursk tra tedeschi e sovietici si è chiusa dopo 52 giorni: quasi lo stesso tempo perso dagli ucraini senza intaccare le muraglie issate dal Cremlino. Forse l’alto comando ucraino non aveva alternative: l’addestramento di un geniere d’assalto richiede molto più dei tre mesi di corso che hanno formato le nuove brigate di Kiev. Sono soldati molto speciali che devono avere competenze da ingegneri in esplosivi, meccanica, geologia unite a un senso tattico tale da permettergli di individuare le soluzioni nel caos delle sparatorie. “Aprire una breccia è la più difficile delle operazioni combinate – ha scritto il generale australiano Mike Ryan commentando la situazione della controffensiva -. Non soltanto tutte le unità sul campo devono muoversi insieme in una serie di azioni strettamente coordinate, ma devono anche ingannare il nemico e impedirgli di capire dove e quando colpiranno. E fare tutto ciò sotto il fuoco”. In più questi reparti hanno bisogno di veicoli “pioniere” speciali: tank con gru che sollevano 30 tonnellate, altri con vomeri e rulli d’acciaio che spazzano via le mine o che lanciano razzi particolari – chiamati le vipere – per aprire un passaggio nei campi cosparsi di ordigni. La colpa è anche della Nato, che non si è preoccupata di fornirli. Ma gli eserciti occidentali sono molto gelosi di queste dotazioni. L’Italia, ad esempio, ha mandato in pensione da vent’anni tutti i carri armati Leopard 1, tranne le versioni che trainano, sminano, gettano ponti: per tutti queste è stato appena finanziato un ulteriore programma di modernizzazione. E solo dopo il vertice di Vilnius, Germania e Svezia hanno donato una manciata di “tank pioniere” all’Ucraina, immediatamente trasferiti in prima linea. Ma la lezione che arriva dal campo di battaglia è drammatica e tutti i comandi atlantici stanno rivedendo le tattiche. Nei due decenni di missioni di pace, ai genieri guastatori era stato affidato il compito di eliminare gli Ied, gli ordigni artigianali dei miliziani jihadisti: ora si recuperano dai magazzini i veicoli parcheggiati alla fine della Guerra Fredda, aggiornandone l’uso con le informazioni raccolte dai droni. Quello che è stato provato nelle esercitazioni condotte in Sardegna a maggio dalla task force d’intervento rapido della Nato e dal Comando di Vertice Interforze italiano: l’attività dei guastatori è tornata al centro della manovra d’assalto. Chissà che nelle prossime settimane questo non avvenga pure nella pianura tra il Dnipro e il Mar d’Azov.


Esattamente 79 anni dopo, lo scorso 6 giugno, le brigate ucraine hanno cominciato la grande controffensiva senza premurarsi di avere qualcosa di simile. Hanno dimenticato la lezione di storia militare più antica: per espugnare una fortezza bisogna aprire una breccia, compito affidato ai genieri d’assalto o – nella tradizione italiana – al genio guastatori. Ricordate la terribile scena iniziale di “Salvate il soldato Ryan”? In mezzo alle raffiche e alla carneficina, una squadra di questi specialisti creava un passaggio nel muro di filo spinato ed eliminava il nido di mitragliatrici: il varco che permetteva ai fanti americani di uscire dal mattatoio di Omaha Beach. Invece i generali di Kiev hanno scatenato l’attacco della linea difensiva più agguerrita dell’era moderna privi di reparti e di mezzi per superare le barriere russe. I giganteschi Leopard 2 sono stati immobilizzati dalle mine, i cingolati Bradley donati dagli Usa hanno terminato la corsa davanti al tiro incrociato delle postazioni nemiche e non c’era nessuno che si occupasse di creare un varco. Non c’erano neppure i tank muniti di gru per rimorchiare i blindati danneggiati: decine di prodigi della tecnologia occidentale restano da settimane abbandonati nei prati, sotto il fuoco dei cannoni di Mosca.

I comandanti ucraini infatti hanno completamente ignorato l’importanza dei genieri d’assalto, che nel cuore dei combattimenti gettano ponti sui torrenti, aprono varchi nei campi minati, fanno saltare in aria i fortini, portano via i mezzi colpiti prima che l’artiglieria li distrugga. Kiev non ha schierato nessuno di questi sistemi, spingendo le colonne corazzate verso le trappole piazzate dagli invasori lungo tutta la linea fortificata che blocca la marcia verso la Crimea.

I risultati si vedono: la controffensiva non avanza da 48 giorni. Per avere un termine di paragone, la prima battaglia di El Alamein è durata 19 giorni; la seconda 26; quella delle Ardenne si è conclusa in 42 e l’enorme scontro di Kursk tra tedeschi e sovietici si è chiusa dopo 52 giorni: quasi lo stesso tempo perso dagli ucraini senza intaccare le muraglie issate dal Cremlino.

Forse l’alto comando ucraino non aveva alternative: l’addestramento di un geniere d’assalto richiede molto più dei tre mesi di corso che hanno formato le nuove brigate di Kiev. Sono soldati molto speciali che devono avere competenze da ingegneri in esplosivi, meccanica, geologia unite a un senso tattico tale da permettergli di individuare le soluzioni nel caos delle sparatorie. “Aprire una breccia è la più difficile delle operazioni combinate – ha scritto il generale australiano Mike Ryan commentando la situazione della controffensiva -. Non soltanto tutte le unità sul campo devono muoversi insieme in una serie di azioni strettamente coordinate, ma devono anche ingannare il nemico e impedirgli di capire dove e quando colpiranno. E fare tutto ciò sotto il fuoco”.

In più questi reparti hanno bisogno di veicoli “pioniere” speciali: tank con gru che sollevano 30 tonnellate, altri con vomeri e rulli d’acciaio che spazzano via le mine o che lanciano razzi particolari – chiamati le vipere – per aprire un passaggio nei campi cosparsi di ordigni.

La colpa è anche della Nato, che non si è preoccupata di fornirli. Ma gli eserciti occidentali sono molto gelosi di queste dotazioni. L’Italia, ad esempio, ha mandato in pensione da vent’anni tutti i carri armati Leopard 1, tranne le versioni che trainano, sminano, gettano ponti: per tutti queste è stato appena finanziato un ulteriore programma di modernizzazione. E solo dopo il vertice di Vilnius, Germania e Svezia hanno donato una manciata di “tank pioniere” all’Ucraina, immediatamente trasferiti in prima linea. Ma la lezione che arriva dal campo di battaglia è drammatica e tutti i comandi atlantici stanno rivedendo le tattiche. Nei due decenni di missioni di pace, ai genieri guastatori era stato affidato il compito di eliminare gli Ied, gli ordigni artigianali dei miliziani jihadisti: ora si recuperano dai magazzini i veicoli parcheggiati alla fine della Guerra Fredda, aggiornandone l’uso con le informazioni raccolte dai droni.

Quello che è stato provato nelle esercitazioni condotte in Sardegna a maggio dalla task force d’intervento rapido della Nato e dal Comando di Vertice Interforze italiano: l’attività dei guastatori è tornata al centro della manovra d’assalto. Chissà che nelle prossime settimane questo non avvenga pure nella pianura tra il Dnipro e il Mar d’Azov.