È probabile che la maggioranza degli italiani abbia apprezzato la scelta del ministro Salvini di dimezzare lo sciopero dei ferrovieri con la precettazione. E avrebbe salutato con favore un analogo atto d’imperio […]

(DI GAD LERNER – ilfattoquotidiano.it) – È probabile che la maggioranza degli italiani abbia apprezzato la scelta del ministro Salvini di dimezzare lo sciopero dei ferrovieri con la precettazione. E avrebbe salutato con favore un analogo atto d’imperio anche nei confronti dei lavoratori degli aeroporti che scioperavano ieri. Gli organi di informazione, del resto, non hanno speso una parola sulle rivendicazioni sindacali e sulle condizioni di vita dei lavoratori, puntando tutto sui disagi inflitti a chi viaggia e sorvolando sul fatto che le date della protesta erano programmate da oltre un mese in ottemperanza alle normative vigenti di regolamentazione degli scioperi.

Salvini ha gonfiato il petto ergendosi a portavoce degli italiani che lavorano, come se i ferrovieri invece fossero dei lavativi. Bene, bravo: è ricorso a un espediente procedurale -un incontro di conciliazione convocato all’ultimo momento, finalizzato solo a legittimare la precettazione- e il Tar gli ha dato ragione. Se poi il Consiglio di Stato gliela invaliderà, sarà solo a fatto compiuto. Ieri un editoriale del Corriere della Sera gli ha dato man forte proponendo che venga “rivista, estesa” la “tregua assoluta” che già preclude ai sindacati il ricorso allo sciopero dal 27 luglio al 5 settembre.

Chissà che un giorno gli italiani non debbano pentirsi del compiacimento con cui hanno accolto questo colpo basso inferto al diritto di sciopero. Già lo sentimmo venire l’estate scorsa quando alcuni sindacati di base della logistica vennero indagati per associazione a delinquere in seguito alle loro vertenze. E in questi giorni il blocco dei magazzini di Mondo Convenienza da parte degli interinali precari e supersfruttati deve confrontarsi con l’ostilità dei dipendenti stabilizzati, incoraggiati dall’azienda. Lavoratori contro lavoratori: lo scenario ideale che i governi di destra perseguono da sempre.

Gli eventi s’incastrano l’uno nell’altro in piena coerenza. La bocciatura del salario minimo di 9 euro lordi votata compattamente in Parlamento. Un vero e proprio percorso a ostacoli annunciato per gli “occupabili” cui è stato tolto il reddito di cittadinanza se vogliono usufruire del sostegno di 380 euro al mese peraltro limitato a dodici mesi. La carta “Dedicata a te”, un’elemosina di 382 euro all’anno, riservata solo a chi ha figli. La liberalizzazione dei contratti a termine e il ripristino dei voucher.

Dove vogliono arrivare? Ma soprattutto: perché questi attacchi alle prerogative sindacali nei settori del lavoro dipendente più garantito, condotti in parallelo al taglio dei sussidi per chi il lavoro non ce l’ha e alla perpetuazione del precariato per i più deboli, sembra passare nella più totale indifferenza?

La risposta, temo, si trova nel diffuso sentimento di rassegnazione che predomina fra gli italiani, su cui la destra è abile a far leva. Vista la malaparata generale chi ancora se la cava viene incoraggiato a guardare con sospetto chi sta sotto. Finché chi sta sotto fatica di più e viene pagato di meno tu potrai continuare a cavartela. Magari confidando che il governo continui a chiudere un occhio sulla generalizzata indisciplina fiscale. E accettando l’idea che il welfare aziendale e il ricorso alla sanità privata suppliscano al venir meno dei servizi pubblici uguali per tutti.

“Uguale per tutti” è esattamente il motto da sgominare quando prende piede l’idea che in tempi di vacche magre ciò andrebbe a discapito dei “nostri”. Così si profila il sovvertimento dei valori della sinistra novecentesca. Niente di nuovo sotto il sole: in un Paese che già di nuovo vede frenare la crescita del Pil dopo i ripetuti fallimenti della sua classe imprenditoriale, dove il boom del turismo produce solo lavoro sottopagato, la destra ripropone le vecchie ricette del corporativismo e del paternalismo. Mano libera agli imprenditori. Non una parola critica si è levata dal governo dei patrioti quando John Elkann ha annunciato che i nuovi modelli Stellantis verranno prodotti in Marocco e in Polonia anziché in Italia.

Per questo la limitazione del diritto di sciopero sperimentata pretestuosamente contro i ferrovieri dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per tutti. Lo so che suscita fastidio evocare i precedenti storici del secolo scorso. Il fascismo non è alle porte, d’accordo. Ma ricordiamoci che due anni dopo aver abolito la festività del Primo Maggio nel 1923 il governo dell’epoca sciolse le Commissioni Interne e abrogò il diritto di sciopero, che nel Codice Rocco venne trattato alla stregua di delitto contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio.

Meglio essere accusati di allarmismo che bersi le accuse rivolte da Salvini ai sindacati in nome della difesa degli interessi nazionali. Antitaliano è chi evade il fisco e lucra con gli extraprofitti, non chi rivendica aumenti salariali, nuove assunzioni, minori carichi di lavoro.