Fino a poco tempo fa era considerato un “partner stretto”. Ora al vertice di Vilnius la sua presenza è passata inosservata. La paura di una nuova guerra con la Russia sta spingendo il Paese alla neutralità

Sostenitori di Mikheil Saakashvili davanti alla clinica di Tbilisi in cui è rinchiuso

(di Luna De Bartolo – repubblica.it) – TBILISI – C’è stato un tempo, non lontano, in cui la Georgia era “uno dei partner più stretti della Nato”. Così recita ancora la scheda del Paese sul sito dell’Alleanza. Un rapporto saldissimo, frutto di anni di esercitazioni congiunte e partecipazione dei militari georgiani alle missioni del Patto Atlantico. Gli analisti reputavano Tbilisi un membro de facto della Nato, benché privo delle garanzie di sicurezza fornite dall’articolo 5. Ma a Vilnius, per la prima volta, la Georgia è passata totalmente inosservata.

A rappresentarla, il ministro degli Esteri Ilia Darchiashvili. Non la presidente Salomé Zourabichvili, non il premier Irakli Garibashvili. Quest’ultimo, intervenuto recentemente al Forum sulla sicurezza globale di Bratislava, ha risposto a una domanda sulle cause della guerra in Ucraina. “Una delle ragioni principali è stata l’allargamento della Nato”, ha affermato. Un’argomentazione cara al Cremlino, e che non ti aspetteresti certo di sentire dal primo ministro di un Paese che aspira a entrare nel Patto Atlantico. Allora, cos’è successo?

Il vertice di Bucarest 2008

Per capire bisogna fare un passo indietro e tornare a Bucarest, nel 2008, dove si tiene uno dei vertici Nato più rilevanti dalla fine della Guerra fredda. E il più citato in quest’ultimo anno e mezzo. Pur non concedendo all’Ucraina e alla Georgia il Membership action plan (Map), l’anticamera per l’ingresso nell’Alleanza, si dichiara ufficialmente che “questi due Paesi diventeranno membri della Nato”. A quel summit, il secondo giorno, arriva il presidente Vladimir Putin, invitato a partecipare a colloqui bilaterali Nato-Russia. La sua ultima apparizione su un palcoscenico internazionale prima di lasciare il posto a Dmitrij Medvedev. Un altro mondo.

Alla vigilia, da Mosca erano partite minacce violentissime che intimavano all’Alleanza di non procedere sulla strada dell’inglobamento delle due ex repubbliche sovietiche, pena il rischio di conflitti. La diplomazia coercitiva del Cremlino ha successo. La Nato, che prende le proprie decisioni sulla base del consenso unanime, trova un compromesso: promette una futura adesione senza però fornire né un percorso né un calendario precisi. A pesare è il netto no della Germania, sostenuta dalla Francia. In seguito, l’ex presidente americano George W. Bush rivelerà che il mancato ingresso della Georgia – a quei tempi la capofila – nel Patto Atlantico ha rappresentato il suo “più grande disaccordo” con l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel. La maggioranza degli analisti è oggi concorde nel sostenere che la soluzione ambigua di Bucarest, che ha esposto Tbilisi e Kiev senza alcuna garanzia di sicurezza, sia stata la peggiore possibile.

L’invasione dell’Ossezia

Quattro mesi dopo il vertice, le truppe di Mosca marciano nel piccolo Stato del Caucaso violando il confine dall’Ossezia del Sud, regione separatista. Occupano la città natale di Stalin, Gori, e si fermano a pochi chilometri dalla capitale. Prima della Crimea, prima del Donbass, prima dell’invasione dell’Ucraina su larga scala. La completa capitolazione della Georgia viene scongiurata dalla mediazione europea, ma i soldati russi sono ancora lì, controllano il 20 per cento del Paese. Tradizionalmente, ma non è un prerequisito, la Nato non accetta al proprio interno Paesi con questioni territoriali irrisolte. E il Cremlino lo sa bene.

Negli ultimi quindici anni, ogni singolo summit Nato ha riaffermato la promessa di Bucarest, senza mantenerla. Tbilisi e Kiev, sempre nominate insieme. I due vicini postsovietici della Russia che vogliono integrarsi con l’Occidente, i cui destini geopolitici parevano legati indissolubilmente, diventeranno un giorno membri dell’Alleanza. “Il tandem Georgia-Ucraina non esiste più”, commenta al telefono da Vilnius Kornely Kakachia, direttore del Georgian Institute of Politics. “Nonostante Kiev non abbia ottenuto quello che voleva, i Paesi membri hanno acconsentito a rimuovere il Map dal suo percorso di adesione, mentre resta indispensabile per Tbilisi. Nei documenti ufficiali è presente il solito mantra, ovvero che la Nato supporta l’integrità territoriale della Georgia, e formalmente restiamo partner dell’Alleanza, ma c’è una forte ambiguità da entrambe le parti”.

Il caso Saakashvili

Crepe nei rapporti tra Tbilisi e la Nato hanno cominciato ad apparire negli ultimi tre anni. “In Georgia c’è stato un progressivo arretramento democratico. Il governo guarda al voto del 2024, vuole solo mantenere il potere, vincere per la quarta volta. Non gli interessa più integrarsi con l’Occidente, le riforme gli farebbero perdere il controllo. Per loro è una questione di sopravvivenza, basta guardare allo stato in cui si trova Mikheil Saakashvili (l’ex presidente georgiano incarcerato, ndr)”. E come vincere le elezioni con una retorica antioccidentale in un Paese dove tra il 70 e l’80 per cento dei cittadini sostiene l’ingresso nell’Ue e nella Nato? “Stanno dicendo loro che qualcuno in Europa e negli Usa vuole trascinare la Georgia in guerra con la Russia, mentre è saggio mantenere rapporti pragmatici con Mosca. La gente ha paura, antepone la stabilità a promesse effimere di integrazione nelle strutture occidentali. È una propaganda efficace”.

Nella zona grigia

E senza dubbio, esiste una certa frustrazione nei confronti della Nato, che ha lasciato il Paese in sala d’aspetto per tutto questo tempo. “La Georgia ha fatto molto, persino di più di alcuni Stati membri. Abbiamo perso soldati in Afghanistan, in Iraq. E tecnicamente, non si può dire che non fossimo pronti. Ma abbiamo due territori occupati e, sebbene non lo si affermi apertamente, c’era un informale potere di veto da parte della Russia. Questo era l’ostacolo principale per gli alleati europei, che non volevano irritare Mosca”. Una questione che resta attuale, vista la formula arzigogolata utilizzata martedì a Vilnius per definire la futura adesione di Kiev. “Se questo è ciò che può ottenere l’Ucraina, che è in guerra, non so che cosa ci si possa aspettare per la Georgia. Fondamentalmente, non c’è consenso. Nessuno vuole un conflitto diretto con la Russia ed è il motivo per cui l’ingresso di Kiev o Tbilisi nella Nato non è mai avvenuto. Ma entrambi i Paesi hanno lo stesso problema, vogliono entrare nell’Alleanza proprio perché vogliono essere protetti da Mosca”.

“Forse”, conclude Kakachia, “se nel 2008 la Georgia e l’Ucraina avessero ottenuto il Map, sarebbe stato un deterrente, la Russia avrebbe capito che la Nato faceva sul serio. Invece sono state lasciate in una zona grigia, che non apparteneva a nessuno”. E che il Cremlino ha rivendicato come propria.