(di Gianni Santucci – corriere.it) – Fra le truffe informatiche denunciate in Italia nel 2022, meno di una su cinque (il 18%) ha riguardato il trading online, ossia l’ acquisto e vendita online di azioni e titoli finanziari. Ma questa «minoritaria» tipologia (rispetto ad esempio all’e-commerce, terreno del 59% dei raggiri), ha fruttato alle bande criminali l’80% del «bottino» di tutte le frodi: 93 milioni di euro, sui 116 complessivi. Le denunce sono state 3.057: vuol dire che ogni vittima ha perso più di 30 mila euro. Questi sono i dati del Clusit, l’Associazione italiana per la sicurezza informatica, che raccoglie i maggiori esperti italiani e ha sede all’università Statale di Milano. I dati sono elaborati sui «mattinali» della polizia postale: mancano dunque le denunce fatte a Guardia di finanza e carabinieri, oltre quelle trasmesse direttamente alle Procure. La percezione è che lo scenario, soprattutto per quanto riguarda le ricchezze sottratte, sia molto più ampio.

Il giro d’affari neri

L’ipotesi prende corpo entrando nell’ufficio del procuratore aggiunto Eugenio Fusco, capo del dipartimento della Procura di Milano che si occupa di truffe e reati informatici. Tra 2019 e ottobre 2022, sul tavolo del dottor Fusco sono arrivate oltre 300 denunce: su 284 fascicoli, gli approfondimenti investigativi sono stati delegati al Nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza di Milano. Da novembre 2022 a oggi però, in soli otto mesi, di nuove denunce ne sono arrivate circa 200. Questo conferma che l’ambito criminale è in espansione. E che i danni sono altissimi: i bonifici trasmessi dalle vittime ai falsi broker quasi mai, nel complesso, sono sotto i 100 mila euro. Spesso anche di più, con punte di 250/300 mila euro.

Le vittime

E qui emergono due vulnerabilità. Una riguarda chi deve fare le indagini: dato che i truffatori sono all’estero, le chiamate vengono fatte da computer con alti livelli di «schermatura», pure i conti sono tutti esteri (e il denaro viene mosso molto rapidamente), impostare un’inchiesta che arrivi ad arrestare i truffatori e recuperare i soldi è molto complicato. Secondo punto debole: dall’analisi delle vittime milanesi, si trovano persone di tutte le età, dai 30 agli 80 anni, spesso (oltre che con un certo patrimonio) con un buon livello di istruzione, o addirittura con competenze professionali specifiche (dirigenti, impiegati di banche, commercialisti). Di fatto, competenze e capacità non sempre sono uno scudo rispetto a queste frodi. Che si fondano sulla più antica delle esche psicologiche: la prospettiva di un guadagno sostanzioso e molto rapido.

La promessa di rendimenti del genere, che arrivano quasi al raddoppio del capitale investito in pochi mesi, dovrebbe già far nascere un dubbio e far scattare il caposaldo dell’arma di contrasto più efficace: la prevenzione. Spiega Eugenio Fusco: «La truffa richiede, perché si realizzi, la cooperazione della vittima. Maggiormente, si potrebbe dire, nel “trading on line”, in cui il contatto è solo virtuale ed è il truffato a operare sul proprio conto. Quando il denaro finisce in banche che di solito si trovano in Paesi poco collaborativi, c’è ben poco da fare. Specialmente se la repressione, come in questo genere di truffe, è inefficace, occorre puntare sulla prevenzione, che è prima di tutto informazione». Per difendersi, è necessario conoscere. Ecco allora una minuziosa spiegazione di come funzionano le truffe sul trading online. E di quali sono, passaggio per passaggio, gli elementi di sospetto o di allarme che dovrebbero mettere in allerta le vittime, per evitare di prosciugare i risparmi di intere famiglie.

Le tre fasi dell’inganno

Si può prendere come esempio una delle ultime denunce fatte a Milano (omettendo i dati sensibili). Ne basta una, perché tutte le truffe sul trading online, tranne che per minimi dettagli, seguono una struttura assolutamente identica. In questo caso la vittima è un commercialista vicino alla pensione. Il copione di questi investimenti «a rendimento strabiliante» si può suddividere grosso modo in tre fasi.

La prima, decisiva, è l’aggancio. A settembre 2021, l’uomo riceve una telefonata. Il numero ha prefisso +44 (Regno Unito). Parla il rappresentante di una società di brokeraggio. Attenzione: chi telefona, sempre, ha grandi competenze tecnico-finanziarie ed eccezionali capacità di persuasione, da venditore. Propone un piano di investimenti e, stimolato l’interesse, spedisce una documentazione all’apparenza perfettamente credibile. Documenti di identità, prospetti economici, contratti, piani di rendimento, specifiche sulle commissioni. La società (in questo caso «Px Fintech Limited») ha sempre un sito ben costruito e dettagliato. Di nuovo, attenzione: tutto sembra in regola. La proposta è sempre di partire con una piccola somma, di solito 250 euro, e poi iniziare a vedere il rendimento (che sarà da subito poco plausibile, del tutto fuori mercato).

I punti deboli

Uno scenario all’apparenza perfetto, ma che (con un po’ d’attenzione) presenta molti punti deboli: che sono le opportunità di difesa per «l’investitore».

Poi ci sono altre verifiche: si può provare a richiamare il numero. Quasi sempre si tratta di utenze che non possono ricevere (richiamando, ci trova di fronte a: «Il numero non è attivo»), i contatti proseguono poi quasi sempre su “Whatsapp”. Semplice domanda: quale seria società di investimenti lavora con telefoni «a scomparsa»? Se capita, di certo dovrebbe far diffidare.
Possibilità seguente, un po’ più laboriosa: mettersi a verificare con ricerche online se la società ha l’autorizzazione della Consob a operare in Italia (sia con una succursale, sia senza). Se l’azienda non compare nell’elenco, quanto meno non è autorizzata. E anche questo è un fondato motivo per troncare subito ogni rapporto: anzi, per il bene di tutti, la società andrebbe segnalata alle autorità o alla stessa Consob (che spesso fa oscurare i siti e li inserisce in una sorta di black list).

I rendimenti schizzano

Nella storia che stiamo raccontando, il commercialista manda i 250 euro, con i documenti d’identità, e apre il suo «profilo investitore». Da qui, inizia la seconda fase della truffa, quella dello «spolpamento».
La prima somma che la vittima decide di investire è 25 mila euro. Nel complesso, tra ottobre 2021 e gennaio 2022, l’uomo invia una dozzina di bonifici per totali 160 mila euro. Il «consulente» è una presenza continua che nel corso delle settimane chiama, spiega, propone, discute l’utilità di investire in certi ambiti piuttosto che in altri. E il «cliente», consultando il proprio profilo sul sito della società, in tutto e per tutto assimilabile a quello di un home banking (falso), vede i suoi rendimenti crescere. A un certo punto cambia il consulente: il nuovo sostiene di occuparsi della seconda fase del programma, invia i propri documenti (tedeschi, all’apparenza sempre perfetti), e spiega che tutto il patrimonio è ora depositato su conti della Royal bank of Scotland (di cui allega certificati contraffatti). Fino a marzo 2022, il cliente truffato «investe» altri 130 mila euro (in generale il passaggio ad altro consulente, o ad altra fantomatica società, avviene perché la reputazione on-line inizia ad essere compromessa).
In questa lunga fase, in ogni passaggio (sarebbe meglio farlo il prima possibile), si può smontare la truffa con una semplice richiesta: iniziare a rientrare, chiedere la restituzione del capitale e di una parte dei «guadagni». In alcuni casi, le vittime hanno ricevuto piccole somme, qualche migliaio di euro, nulla rispetto a ciò che avevano sborsato. Ma era solo un tentativo di prendere tempo per ottenere nuovi «investimenti». Comunque, capitale e rendimenti restano «bloccati» (in realtà: il capitale è già sparito, i rendimenti non sono mai esistiti). E così, inizia la terza fase, quella del disperato tentativo di recupero. Che presenta nuovi rischi.

Tasse e recupero

Alla fine del caso preso in esame, la vittima ha versato 290 mila euro: sul suo «profilo cliente», grafici e tabelle (tutto finto) mostravano un saldo di 540mila. Avrebbe dunque guadagnato 250 mila euro in 6 mesi. Alla richiesta di incassare, il copione della truffa prevede sempre due passaggi. Il primo: un nuovo consulente spiega che, per la legislazione estera (di solito inglese), bisogna pagare tra il 20 e il 25 per cento di tasse per sbloccare le somme sul conto. Qualcuno risponde: tenete la quota di tasse dai miei interessi, e mandatemi il resto. Logico, banale. Ma i «consulenti» obiettano che non è possibile: bisogna prima fare un ulteriore bonifico per le tasse. È un momento psicologico drammatico: perché la vittima teme di essere stata truffata, ma la psiche cerca di attaccarsi a una possibilità del tutto inverosimile, pur di rientrare. Anche in questo caso, il consiglio è: smettere di pagare. Ed è quel che ha fatto il commercialista protagonista di questa vicenda. S’è trovato così di fronte all’ultimo, spietato passaggio di queste truffe.

Chiama un altro «addetto della società», spiegando che il suo primo collega era un truffatore, e che lui può far partire un’azione legale per recuperare il capitale. Anche qui, chiede di anticipare le spese legali. A questo punto non serve spiegare che, anche in quest’ultimo momento, non bisogna versare più nulla. Purtroppo alcune vittime hanno rovinato famiglie pagando fino a quest’ultima richiesta: facendo debiti, chiedendo prestiti ad amici e parenti. Conclude Fusco: «Sono trascorsi vent’anni dal caso Parmalat, affatto diverso dal trading on line, ma con un tratto in comune: la promessa di guadagni superiori a quelli di mercato cela sempre un rischio elevato e potrebbe costituire un raggiro. Dunque, è importante tenere sempre alta la guardia. In ogni caso, se qualcuno con una telefonata o una mail vi chiede soldi: “take your time”. Basta staccarsi dalla comunicazione in corso per comprendere che c’è qualcosa che non funziona nell’operazione che vi viene sollecitata».

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