Giorgia Meloni in prima linea per sostenere la capitale contro le città concorrenti. Alleanza con il Comune per il completamento delle incompiute, come la “Vela” di Calatrava. Lo Stato che vince si aggiudica ricavi e indotto valutati in decine di miliardi. Ma resta l’incognita sul futuro delle opere

(Serena Console – today.it) – Alle spalle Cinecittà, di fronte i Castelli Romani. Percorrendo un tratto del Grande raccordo anulare, che passa per la periferia orientale di Roma, si intravede una sagoma di una struttura immersa nel verde della campagna incolta e circondata dai palazzoni. Ha una forma simile a una pinna di squalo, ma chi ha disegnato la struttura nei primi anni Duemila pensava a qualcosa di diverso. L’architetto spagnolo Santiago Calatrava aveva immaginato una vela che, con le sue travi di metallo, doveva rappresentare la modernità e il dinamismo e simboleggiare l’incontro tra scienza e tecnologia. Per questo il progetto era stato realizzato per conto dell’Università di Tor Vergata, uno dei poli universitari della capitale. 

Anche l’indirizzo d’uso era differente: la struttura doveva ospitare i Mondiali di nuoto del 2009 diventando una “Città dello sport” (per volere dell’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni), ma è diventata un cimitero di ferro perché i lavori non vennero completati in tempo. Così la “Vela” dell’archistar è rimasta inutilizzata fino a quando l’attuale primo cittadino, Roberto Gualtieri, non ha deciso di portare a compimento l’opera. Sul piatto, 70 milioni di euro di finanziamenti statali, che permetteranno la riqualificazione e il completamento della struttura e la realizzazione di un’area verde. Fondi che si aggiungono a quelli iniziali del 2005: in un primo momento il costo dei lavori era stato stimato in 60 milioni di euro, per poi raddoppiare fino a raggiungere nel 2007 una stima di 240 milioni. I cantieri per la riqualificazione della Vela apriranno il prossimo autunno, ma già si intravede un orizzonte temporale per il suo utilizzo: Giubileo 2025 e, infine, Expo 2030. 

La scommessa dell’Italia

“Il connubio tra radici antiche e modernità tecnologica” è quello che “ha ispirato il nostro progetto. Crediamo che, fin dai suoi esordi, l’Expo sia sempre stata molto più di un’esposizione mondiale: è la storia di un’epoca e il disegno immaginario della prossima. Expo traccia una rotta e Roma intende fare altrettanto”, ha commentato la premier Giorgia Meloni, arrivando il 20 giugno a Parigi al Bureau international des expositions (Bie) alla guida della delegazione italiana per Expo 2030. 

La presidente del Consiglio è consapevole che la sfida è ancora aperta e che Roma – con le sue criticità infrastrutturali e i suoi dinosauri architettonici nati (e morti) dopo un grande evento – si trova a gareggiare con città come la sudcoreana Busan e la capitale saudita Riad, sostenuta dalla Francia. Fuori dai giochi, devastata dalla guerra, l’ucraina Odessa. I tempi però sono stretti: il prossimo 28 novembre, durante l’assemblea generale del Bie, gli Stati membri eleggeranno il paese ospitante dell’Expo 2030 tramite scrutinio segreto in base al principio di “un Paese, un voto”. 

Giorgia Meloni con il presidente Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Il sindaco di Roma Gualtieri e il presidente di Roma Expo 2030, l’ambasciatore Giampiero Massolo, devono utilizzare tutte le armi diplomatiche per raggiungere un successo che avrebbe un importante impatto globale per la città. Le settimane che mancano alla votazione dei 179 Stati membri del Bie saranno concitate. Il Comune di Roma non vuole perdere il ricco bottino economico. Per ospitare l’edizione 2030 di Expo, Roma riceverebbe subito 9 miliardi per la riqualificazione urbana e la mobilità green. Dall’impianto di termovalorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti, alla manutenzione delle linee della metropolitana di Roma fino all’apertura di nuovi musei, industrie high-tech e nuove infrastrutture: sono solo alcuni dei progetti che finiranno sotto l’ombrello dei finanziamenti.

Soldi investiti in strutture che diventeranno cattedrali nel deserto? La capitale già ospita cantieri aperti di colossi incompiuti, come la Città dei giovani agli ex Mercati generali, l’ex stazione Olimpico-Farnesina a pochi passi dal Belvedere Ugo Forno, e l’ex Fiera di Roma, solo per citarne alcuni.

Le dimensioni e gli effetti economici dell’evento internazionale sarebbero impressionanti per Roma (e l’Italia). Si stima che il valore complessivo dei lavori si aggiri intorno ai 50 miliardi di euro, con la creazione di 11mila nuove aziende e 300mila nuovi posti di lavoro. Si prevede un impatto economico diretto di 10 miliardi di euro e quasi 6 miliardi di investimenti esteri. L’affluenza prevista è di 23 milioni di visitatori, che potrebbe arrivare a 30 milioni, considerando anche le persone che torneranno più volte. 

L’Unione Europea sostiene la candidatura di Roma, ma la capitale dovrà battere la concorrenza della saudita Riad e della sudcoreana Busan. Le incognite sono molte, ma come dimostrano gli sviluppi della Vela di Calatrava, la strada intrapresa è chiara: Roma aprirà nuovi cantieri per opere che potrebbero diventare altri scheletri urbanistici. Oppure, se ultimate, nuove opportunità per la città, il turismo e lo sport.

L’Ue appoggia la candidatura di Roma

Lo “sportwashing” dell’Arabia Saudita

Quando il sindaco di Roma Gualtieri ha detto che sicuramente “Riad ha tanti soldi da spendere” per l’evento, non aveva tutti i torti. Il principe saudita Mohammed bin Salman ha avviato una campagna acquisti a Parigi, dove ha stretto mani e si è assicurato il sostegno del presidente francese, Emmanuel Macron. Un appoggio che ha provocato la levata di scudi di diverse organizzazioni umanitarie, che ricordano le gravi violazioni dei diritti umani che vengono commesse nel paese arabo, come il mantenimento dell’uso della pena di morte e la repressione degli attivisti per i diritti umani. Senza dimenticare la brutale uccisione del giornalista Jamal Khashoggi avvenuta nel 2018 (che secondo diverse inchieste sarebbe stata ordinata da bin Salman in persona).

Con lo slogan “L’era del cambiamento: insieme per un domani lungimirante”, l’Arabia Saudita ha presentato il suo progetto per l’edizione Expo2030, mettendo sul piatto investimenti per un valore di 7,8 miliardi di dollari. 

Il regno saudita si presenta così, ancora una volta, come protagonista dei grandi eventi internazionali, che fanno da volano al “Vision 2030”, il piano di sviluppo e investimenti voluto dal principe bin Salman e sovvenzionato dal fondo sovrano Pif (detentore di un patrimonio stimato di oltre 620 miliardi di dollari): finanziati dal Pif, oltre a Expo 2030 ci sono anche i Giochi asiatici invernali, che Riad ospiterà nel 2029. Per questo evento, il regno non vuole badare a spese: il progetto Neom costerà 500 miliardi di dollari (oltre il doppio di quanto è costato il Campionato mondiale di calcio in Qatar) per realizzare Trojena, una nuova località di montagna che al momento non esiste. 

Trojena, il progetto saudita per la città che non esiste
Trojena, il progetto saudita per la città che non esiste

E il calcio? Dopo il Qatar, c’era il timore che un nuovo campionato della “vergogna” venisse organizzato nel paese del Golfo Persico. Fortunatamente si può tirare un sospiro di sollievo. L’Arabia Saudita ha fatto retromarcia sulla candidatura per i Mondiali 2030. Fuori dal pallone, il regno già ospita eventi sportivi come la boxe, il golf e la Formula uno. 

L’impegno di Riad di portare nel paese i grandi eventi sportivi ha attirato le critiche delle organizzazioni internazionali, che parlano di “sportwashing”: utilizzare lo sport per rendere moderna la propria immagine e nascondere le continue violazioni dei diritti umani da parte della monarchia saudita. Ma come spesso accade, e come già successo con i mondiali in Qatar nel 2022, la comunità internazionale si indignerà delle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita solo se e quando il regno otterrà l’assegnazione di Expo2030. Una polemica che diversi Paesi europei non sono disposti a sollevare, probabilmente per tutelare gli affari con gli Stati del Golfo ricco di petrolio (e che quindi hanno più soldi da mettere sul tavolo e sono pronti a spenderli per influenzare i governi occidentali). Soprattutto la Francia. 

La chiave tecnologica sudcoreana

Ma se in Europa si guarda a Roma e Riad, altrove gli occhi sono puntati sulla città di Busan. Almeno in Corea del Sud, che è pronta a ospitare nel 2030 l’edizione Expo con lo slogan “Trasformare il nostro mondo, navigare verso un futuro migliore”. 

La Corea del Sud è infatti “pronta a rendere l’Expo mondiale del 2030 l’evento migliore di tutti i tempi, se riuscirà a portare l’evento nella città di Busan”, ha affermato il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol, nell’assemblea del Bie a Parigi, parlando nella stessa sessione in cui la presidente del Consiglio Meloni ha promosso la candidatura di Roma. “Busan sarà un luogo per la creazione di nuove opportunità di business”, ha detto Yoon, puntando l’accento sull’aspetto tecnologico del paese. 

Yoon ha anche affermato che la Corea del Sud sta portando avanti 1.258 progetti ufficiali di assistenza allo sviluppo con gli Stati membri del Bie e si impegna a fornire il più grande pacchetto di assistenza mai realizzato per oltre 110 Stati membri.

Il governo sudcoreano sta facendo uno sforzo a tutto campo per vincere contro Riad, facendo scendere in campo le chaebol, i grandi conglomerati industriali che controllano il 77 per cento dell’economia coreana, con attori del calibro di Samsung (41 per cento), Hyundai (13 per cento), LG (9 per cento) e SK Group (7 per cento). I principali conglomerati del paese si sono uniti per formare il World Expo Bidding Committee, un’organizzazione civile guidata dalle imprese, composta da 11 società, che decide di mettere a disposizione le risorse di ciascuna azienda per vincere la gara dell’assegnazione.  

Seul stima che l’evento internazionale genererà ben 44 miliardi di dollari, attirerà oltre 34 milioni di visitatori e creerà 500mila posti di lavoro. A fronte di un investimento di 3,6 miliardi di dollari (esiguo rispetto agli altri due concorrenti), il paese ritiene che gli indotti saliranno a 32 miliardi di dollari, quattro volte superiori a quelli generati dalla Coppa del mondo di calcio del 2002 e il doppio dei ricavi delle Olimpiadi invernali di Pyeongchang del 2018. 

Nel paese però i dubbi sono molti sui progetti pensati per l’Expo. In risposta a un’inchiesta del Nikkei Asia sui piani per l’utilizzo delle strutture espositive dopo l’evento, il comitato di candidatura ha presentato dettagli vaghi. Insomma, non c’è un’idea chiara di come verranno trasformate queste strutture, una volta conclusa la manifestazione internazionale. Lee Sang-ho, professore presso il dipartimento di turismo della Pusan ​​National University di Busan, ha dichiarato alla testata giapponese che sebbene gli effetti economici derivanti dell’Expo mondiale prevedano l’attrazione di investimenti stranieri e la spesa dei visitatori, il governo coreano ha comunque gonfiato i vantaggi economici che arriverebbero dalla manifestazione. Ma al momento, Roma, Riad e Busan hanno un unico obiettivo: vincere la gara per l’Expo 2030. Quello che succederà dopo la chiusura della manifestazione non è, per ora, un problema dei tre Stati candidati.