(di Milena Gabanelli e Massimo Sideri – corriere.it) – Pochi mesi fa la stampa Usa ha segnalato la scomparsa in Messico di 4 container contenenti materiale radioattivo. Due di questi container erano classificati come pericolosi per l’essere umano a causa della presenza di Iridio-192 (livello 2 su 5, dove il livello 1 è il più pericoloso). Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Sempre due mesi fa le Nazioni Unite in seguito a un’ispezione hanno lanciato l’allarme sulla sparizione di 2,5 tonnellate di uranio da un’area del Sud della Libia fuori dal controllo del governo. All’escalation verbale sui materiali e i rischi del nucleare scatenata dall’aggressione russa in Ucraina e dalle parole di Vladimir Putin che in questi mesi ha minacciato anche Londra ha fatto seguito un problema più strisciante ma non meno rischioso: nel corso del solo 2022 sono aumentati del 21 per cento i casi di perdite incidentali o furti veri e propri di materiali radioattivi in giro per il mondo. La cronaca ha intercettato solo gli eventi più eclatanti, come la perdita, durante l’inizio del 2023, di una capsula contenente Cesio 137 – un isotopo altamente radioattivo che è un sottoprodotto della fissione dell’uranio – andata smarrita in Australia durante il trasporto da una miniera della società Rio Tinto alla città di Perth. La capsula radioattiva, di dimensioni piccolissime, si era persa lungo un percorso lungo 1.400 chilometri. Un ago in un pagliaio. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: sono 146 i casi segnalati nel 2022 dalla Itdb, un’agenzia istituita dall’Aiea nel 1995 per tenere traccia di tutto ciò che accade in questo pericolosissimo campo.

Il mercato nero

Il fantasma del mercato nero dei materiali radioattivi, alcuni potenzialmente utili per costruire ordigni nucleari o le cosiddette bombe sporche (in sostanza materiale esplosivo più qualche elemento radioattivo per aumentarne gli effetti mortali), è una eredità della disgregazione dell’Unione sovietica. La stessa Ucraina ne era stata protagonista: nel momento del distacco dall’Unione sovietica Kiev risultava il terzo Paese al mondo per dotazioni nucleari, dopo Stati Uniti e Russia. Proprio la paura che da lì partisse un traffico di materiale aveva portato gli Usa a collaborare con l’Ucraina per smantellare l’arsenale bellico della Guerra fredda in cambio di aiuti e protezione.

Le statistiche

Dal 1993 i casi di materiale radioattivo perso o rubato (spesso i confini tra queste due casistiche sono difficili da definire) sono stati 4.075. Di questi almeno 344 sono stati segnalati come appartenenti al Gruppo I, cioè collegati proprio al traffico nero di materiali fissili1.036 casi sono invece stati posizionati nella casella del Gruppo II (indeterminati ma per questo sospetti). Gli altri sono invece considerati casi come quello australiano: una grave carenza di rispetto delle regole di sicurezza dell’industria. Inutile dire che una capsula di Cesio 137 persa per scelleratezza, può essere trovata dalle persone sbagliate e immessa sul mercato parallelo.

In questi 30 anni si sono susseguiti casi clamorosi: nel 1992, negli anni del «Bazar Atomico» come definito fin dal titolo dal giornalista specializzato William Langewiesche in un suo famoso libro, uno scienziato del Luch Scientific Production Association rubò 1,5 chilogrammi di uranio arricchito da un centro di ricerche fuori Mosca. Nel 1993 in Lituania la polizia confiscò 4,4 tonnellate di berillio. Nel 1994 tre fratelli in Estonia entrarono in un edificio abbandonato che era stato un magazzino nucleare. Ivan, uno dei tre fratelli, mise in tasca una «monetina» di Cesio-137. Morì in pochi giorni insieme al suo cane. L’edificio venne bonificato solo nel 2008. Chissà quanti altri magazzini sono stati razziati prima di essere identificati. Sono gli stessi anni in cui il padre della bomba atomica pakistana venerato come un Dio in patria, A.Q. Khan, trattava con altri Paesi come l’Iran per vendere la tecnologia atomica. Ma anche nei Paesi occidentali ci sono stati casi di furti sospetti. Nel 2001 la polizia francese arrestò tre persone che detenevano diversi grammi di uranio arricchito all’80% (sopra al 20% l’U235 è considerato utile per gli armamenti e le armi). Nel 2017 degli ispettori del Dipartimento dell’Energia americano si fecero rubare del materiale radioattivo dalla propria automobile durante una missione in Texas.

Il caso Chernobyl

Queste statistiche sono da considerarsi per definizione sottostimate: quando nella prima fase della guerra russa in Ucraina i soldati russi sono entrati nell’area di Chernobyl e nella cosiddetta zona di esclusione dove tutto è ancora fortemente radioattivo nessuno ha potuto controllare cosa sia accaduto. E il sospetto che i militari poi in ritirata abbiano irresponsabilmente portato materiale pericoloso verso la Bielorussia per ricavarne magari pochi soldi era già stato sollevato. D’altra parte nello sconcerto mondiale era emerso che dei soldati avevano scavato delle trincee nel Bosco rosso dietro la centrale di Chernobyl. Secondo la rivista Science, già nel febbraio del 2022, approfittando del caos in seguito allo scoppio della guerra, da un laboratorio fuori Chernobyl erano stati rubati materiali radioattivi.

L’industria risparmia sulla sicurezza

In generale il 14% del materiale perso o sottratto in questi anni è tecnicamente nucleare, il 59% è invece radioattivo. «Dove sono disponibili le informazioni sui motivi – si legge nel rapporto Itdb – il principale incentivo dietro la maggioranza degli eventi è il guadagno. La maggior parte degli incidenti potrebbe essere classificato come “amatoriale” o opportunista, come dimostrato da una mancanza di risorse e competenze tecniche». Informazioni per nulla rassicuranti. La gestione in mano a gruppi non organizzati o specializzati rende questo tipo di furto ancora più pericoloso. Secondo il report esiste una vera e propria organizzazione finalizzata alla creazione di un mercato nero del nucleare militare.

Crescono i casi sospetti

Storicamente gli anni peggiori per i casi più sospetti e pericolosi, oltre a quelli subito dopo la fine dell’Urss, sono stati i primi anni Duemila quando le tensioni tra Stati Uniti e alcuni Paesi sospettati di voler procedere nella costruzione di armi atomiche, come l’Iran, avevano raggiunto il grado massimo. In Iraq dopo l’11 settembre 2001, come è ormai accertato storicamente, non c’era invece traccia delle famose armi di distruzione di massa. Nel 2013 e anche nel 2020 si era raggiunto il minimo storico di furti e perdite, con un rimbalzo però già dal 2021 e che sta tuttora proseguendo. Già dopo l’annessione russa della Crimea la tensione sul tema del nucleare militare era salita come dimostra la crescita degli investimenti ufficiali e ufficiosi in bombe atomiche e armamenti annessi sia da parte della Russia di Vladimir Putin sia da parte dell’amministrazione allora di Barack Obama. Con un’aggravante: da quando gli Usa si sono accorti delle intenzioni della Russia di tornare non sono a parlare di bombe tattiche e strategiche atomiche, ma anche di agire, hanno tagliato i fondi per la gestione in territorio russo dei vecchi magazzini di materiale radioattivo conservato in condizioni precarie fin dalla fine della Guerra fredda. Nella Russia impoverita e stressata di oggi chi può sapere cosa sta accadendo in alcuni di essi!

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