Mai visti tanti mercanti nel tempio come ieri pomeriggio in Duomo a Milano. Molti di loro, per carità, sinceramente grati e commossi nel dare l’addio a Silvio Berlusconi, l’uomo dal tocco magico che li ha trasformati […]

(DI GAD LERNER – ilfattoquotidiano.it) – Milano. Mai visti tanti mercanti nel tempio come ieri pomeriggio in Duomo a Milano. Molti di loro, per carità, sinceramente grati e commossi nel dare l’addio a Silvio Berlusconi, l’uomo dal tocco magico che li ha trasformati in benestanti. A unirli nella preghiera non era certo la convinzione che Silvio sia destinato al paradiso, bensì una speranza: che la generosa accoglienza ricevuta nella cattedrale gotica ambrosiana, la solennità dei funerali di Stato, il lutto nazionale proclamato da un governo amico, le sapienti riprese dall’alto del carro funebre in arrivo da Arcore contornato da striscioni osannanti il defunto e le inquadrature che facevano sembrare la piazza affollatissima, insomma, che tutto ciò fungesse da salvacondotto se non per la salvezza eterna almeno per la salvezza terrena. Perché se ci è passato Silvio per la cruna dell’ago, allora magari ci passeranno pure loro.

Dal popolo che dietro le transenne sventolava bandiere del Milan e di Forza Italia, così come tra i vip eleganti ammessi nel Duomo, emergeva quello che forse è il vero carattere nazionale degli italiani: l’indulgenza. Retaggio medievale di una Chiesa che indicava sempre possibile la remissione dei peccati comprando un’indulgenza plenaria. Trattasi naturalmente di un’indulgenza che si esercita più facilmente nei confronti dei ricchi e dei potenti, ma tant’è: su di essa fa leva l’offensiva culturale che la destra fondata da Berlusconi intende proseguire sull’onda di un’emozione rivelatasi, però, forse inferiore alle aspettative. Mattarella alla fine se n’è andato in fretta senza applausi. Il coro calcistico “un presidente, c’è solo un presidente” non era certo riservato a lui.

Sebbene l’operazione “Berlusconi santo subito”, dopo il funerale di ieri, mi pare incontri più ostacoli del previsto, non c’è dubbio che sia ben studiata. Nelle intenzioni di chi l’ha promossa onorare col lutto nazionale la spregiudicatezza di un uomo che, non dimentichiamolo, davvero ha creduto di poter morire da presidente della Repubblica, era ed è il tassello di un piano mirante allo snaturamento progressivo delle nostre istituzioni.

L’impasto fra tifo calcistico e passione politica nella piazza, cui all’interno del Duomo faceva da corrispettivo l’impasto fra il mondo dello spettacolo e il notabilato al potere, rappresentava una sintesi perfetta del lascito berlusconiano rivendicato dalla destra. Dando a questa cerimonia trionfale il sapore di una riforma istituzionale attivata d’imperio, così come il lutto nazionale ha voluto sancire un fatto compiuto di riabilitazione. I tifosi della riforma della giustizia e del presidenzialismo cercheranno di assestare subito il colpo successivo. Ma resta innegabile che la solennità della liturgia religiosa stridesse ieri con la realtà di troppe biografie, perché ogni finzione ha un limite. La prima fila dei parenti stretti, uniti in un comprensibile e rispettabile dolore, ha avuto il buon gusto di non fare la comunione. Solo un anno fa loro stessi si erano ritrovati in una celebrazione privata dai tratti ben diversi: il “matrimonio simbolico” tra Silvio Berlusconi e Marta Fascina, di cui ieri la figlia Marina, tenendola per mano, ha voluto confermare una sorta di investitura forse anche politica. Fedele Confalonieri suonava il piano, Gigi D’Alessio cantava, in una ben strana parodia di family day.

Oltre che il Paese delle indulgenze forse l’Italia è anche il Paese delle cerimonie finte. Sono abbastanza vecchio per aver assistito di persona, sabato 13 maggio 1978, nella basilica romana di San Giovanni in Laterano, addirittura a un funerale di Stato celebrato contro la volontà della famiglia del defunto: Aldo Moro. Mancava la bara ma c’erano i vertici delle istituzioni al gran completo quando fece il suo ingresso sulla sedia gestatoria Paolo VI che nell’omelia si rassegnò a ignorare la sconfitta di uno Stato che in nome della fermezza aveva sacrificato il prigioniero delle Brigate Rosse. Quel giorno a San Giovanni c’erano molte sedie vuote. Nell’incipit del mio articolo la definii “una cerimonia indegna del minimo rispetto”.

Berlusconi è l’opposto di Moro. Altra differenza è che ieri il Duomo era stracolmo intorno al feretro, esposto pure sul sagrato all’omaggio della folla. Si riconosce un progetto, nel funerale di Berlusconi. Forse perfino un regime in formazione dietro di lui, nel suo nome.