IL CASO DEL DAVID DI MICHELANGELO – Mercato. Chi paga può fare ciò che vuole: sia con l’immagine, sia con l’opera stessa, dalle sfilate di moda alle feste. Ma chi non paga non può fare ormai quasi nulla […]

(DI TOMASO MONTANARI – ilfattoquotidiano.it) – Di fronte alla sentenza del Tribunale civile di Firenze che, nello scorso aprile, ha condannato una società a pagare 50.000 euro di danni patrimoniali e di immagine per l’uso del David di Michelangelo, il beneficiario (cioè il Ministero della Cultura) ha esultato. Ma, passato l’entusiasmo agonistico, quello stesso Ministero farebbe bene ad avviare una profonda riflessione. La sentenza afferma che l’editore condannato “ha insidiosamente e maliziosamente accostato l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”, e che dunque “risulta gravemente lesa … l’immagine di un’opera di assoluto pregio artistico, che è assurta a simbolo, non solo della temperie rinascimentale che soprattutto nel nostro paese ha prodotto frutti di inestimabile valore, ma anche del nostro intero patrimonio culturale ed in definitiva del genio italico”. La nazione italiana, argomenta il giudice, ha il diritto di tutelare la propria immagine esattamente come lo ha un singolo cittadino: “Visto che ai sensi dell’art. 2 Cost. è garantito il diritto alla identità individuale, inteso come diritto a non vedere alterato all’esterno e quindi travisato, offuscato o contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, sarebbe del tutto irragionevole postulare l’assenza del rimedio risarcitorio a fronte di lesioni dell’interesse non patrimoniale presidiato dall’art. 9 Cost., che si identifica con l’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono come appartenenti alla medesima Nazione anche in virtù del patrimonio artistico e culturale”.

Se questo vale per il danno all’immagine, quantificato dal giudice in 30.000 euro, esiste poi un danno patrimoniale (20.000 euro) per il mancato pagamento della tariffa minima per l’uso pubblicitario del capolavoro michelangiolesco: “La Galleria dell’Accademia ha pubblicato sul proprio sito le tariffe minime stabilite per l’utilizzo delle immagini a scopo pubblicitario, prevedendo, con riferimento alla riproduzione di immagini di opere particolarmente rappresentative (“es. opere di Botticelli, Michelangelo etc.”) la tariffa minima di € 20.000,00 per un anno di concessione”.

In questo caso, il giudice ha potuto agire perché l’editore condannato ha “dolosamente impedito all’ente preposto di valutare la compatibilità tra l’uso dell’immagine del David e la destinazione culturale della stessa”. Bisogna sapere che, almeno fin qui, l’ente preposto, cioè il Ministero, ha interpretato questa valutazione esaminando il merito di ogni pubblicità: un approccio minimale anche comprensibile, perché è chiaro che (per fare due esempi reali) la pubblicità in cui il David porta a tracolla un mitra è decisamente più grave di quella in cui porta sulla spalla un prosciutto crudo toscano. Ma siamo sicuri che anche quest’ultima non comporti qualche problema?

A suggerirlo sono proprio le lampanti contraddizioni interne della sentenza fiorentina: da una parte il giudice condanna perché non si è pagata la cifra fissata nell’avvilente tariffario che lo Stato espone per usare il David come testimonial per vendere una qualsiasi merce; dall’altra, al contrario, condanna perché l’opera è stata “asservita a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”.

Perso nelle contraddizioni del Codice dei Beni culturali e nella fatale ambiguità della valorizzazione, un tribunale della Repubblica condanna, dunque, contemporaneamente perché un simbolo altissimo dell’identità nazionale è stato ridotto a cartellone pubblicitario, e perché non si è pagato per farlo. Diciamolo brutalmente: la questione è che il patrimonio della Nazione non si deve prostituire, o è invece che lo Stato-protettore non si deve veder sottrarre il compenso?

Rispondere al quesito sarebbe compito del governo del patrimonio: cioè del Ministero della Cultura. Il quale però soggiace, da decenni, all’unica vera egemonia culturale del nostro tempo: quella del mercato. Allo stato attuale, chi paga può fare del patrimonio praticamente quello che vuole: sia con l’immagine, sia proprio con l’opera stessa, dalle sfilate di moda alle feste. Al contrario, chi non paga non può fare ormai quasi nulla: ora le immagini non si possono più nemmeno usare in pubblicazioni scientifiche che abbiano un prezzo di copertina.

Sarebbe ora di fare il contrario: rendere assolutamente libero ogni uso non commerciale (e non contrario ai valori costituzionali) delle immagini del patrimonio culturale italiano (che non rappresenta solo l’identità nazionale italiana, ma anche l’universale identità umana), e vietarne invece ogni uso che si rivolga a clienti e consumatori, e non a persone umane. È così che si attuerebbe davvero l’articolo 9 della Costituzione: finalmente.