Bere è tossico, certo; ma anche l’aria che respiriamo lo è. Non per questo promuoviamo l’apnea come stile di vita. Tutta questa promozione della salute a ogni costo è solo l’ennesimo tentativo collettivo per non pensare alla morte, e che sì, moriremo anche se astemi

(SAVERIO RAIMONDO – ilfoglio.it) – Chi sono io per contraddire la dottoressa Viola, quando promuove il messaggio che l’alcol fa male, “anche solo un bicchiere di vino al giorno”? Nessuno; anche perché per contraddirla dovrei avere delle controprove rispetto alle sue, mentre quanto sostenuto dalla dottoressa Viola è vero: il vino fa male, l’alcol fa male, è dimostrato, documentato, è un fatto. La mia invece è solo un’opinione, anzi una domanda: che ci siamo vaccinati a fare contro il Covid, se non per continuare a bere vino e superalcolici? Cosa abbiamo debellato a fare la pandemia, se non per avere una scusa in più per brindare a champagne? Basta ipocrisie, gettiamo la maschera della retorica: non ce n’è mai fregato nulla di poter tornare ad accarezzare i vecchi nelle Rsa, di poter fare la didattica in presenza, di abbracciarci – con ’sto caldo, poi! La ragione universale che ha spinto la vaccinazione di massa è stata poter tornare in bar e ristoranti aperti, a bere e mangiare. Basta con lo storytelling dei cittadini modello, eravamo solo dei beoni assetati: a metterci in fila per il vaccino manco fosse un ballo di gruppo non è stato il senso di responsabilità, ma il desiderio di tornare a bere tutto quell’alcol che vedevamo sprecato nell’igienizzazione delle superfici (non a caso a vaccinarci tutti sono stati gli alpini: grappa ci cova).

Io non sono serio, ma il mio discorso lo è: che ce ne facciamo della salute, se tanto poi non possiamo godercela? La salute non è un valore, ma uno strumento: la salute serve per vivere, altrimenti è fine a sé stessa. E vivere significa (anche) sporcarsi, contagiarsi, ammalarsi. Lungi da me promuovere la cultura dello sballo: il mio è solo l’invito a non perdere l’allegria, e una certa leggerezza necessaria affinché valga la pena vivere. Una leggerezza che non significa incoscienza: sono in prima linea nel sostenere il bere responsabilmente (non c’è niente che mi irriti quanto ordinare del vino per poi scoprire che è finito perché qualcun altro s’è bevuto la bottiglia invece che ordinarne solo un bicchiere!); così come promuovo da sempre il fatto di non mettersi al volante se si è bevuto – l’unica cosa che non capisco è perché, in questa incompatibilità fra alcol e automobili, a essere demonizzato sia il primo e non piuttosto le seconde, che oltretutto inquinano e sono difficili da parcheggiare. Bere è tossico, certo; ma anche l’aria che respiriamo lo è. Non per questo promuoviamo l’apnea come stile di vita. Dobbiamo accettare il fatto che “vivere è cancerogeno”; e che tutta questa promozione della salute a ogni costo è solo l’ennesimo tentativo collettivo per non pensare alla morte, al fatto che siamo mortali e che sì, moriremo – anche se astemi. Mi si dirà che nessuno parla di immortalità, ma solo di longevità; ma siamo sicuri che valga la pena essere longevi, da sobri?

Certo, c’è poi il discorso dei costi sociali ed economici di noi cirrotici rincoglioniti da assistere e curare; ma potremmo risolverlo affrontando finalmente il discorso del fine vita. La dottoressa Viola fa bene a dire quelle cose: non solo sono vere, ma ha anche un libro sull’argomento che legittimamente promuove. Ma oltre alla lettura del suo, consiglio anche quella di Sbronzi. Come abbiamo bevuto, danzato e barcollato sulla strada della civiltà, di Edward Slingerland (edizioni Utet). E poi ne riparliamo. Perché non si vive di sola salute. Lungi da me sostenere che “il vino fa buon sangue” – basta vedere le transaminasi per scoprire che non è così; ma chi ha detto “finché c’è la salute c’è tutto” doveva aver bevuto, e parecchio.