Il 54% di coloro che non hanno votato alle recenti elezioni comunali si dichiara “arreso”. Più forte la demotivazione fra i 35-54enni. Colpiti maggiormente i partiti di opposizione

(di Antonio Noto – repubblica.it) – Una resa e non una protesta. Così il 54% di coloro che hanno deciso di non votare alle recenti elezioni comunali definisce la propria scelta. Il 47% si dichiara demotivato in quanto non ha fiducia nella classe politica locale. Un altro fattore che caratterizza il profilo di chi non è andato a votare nei due recenti turni elettorali del 14 e 28 maggio è che tra questi prevale la “classe produttiva” del Paese in quanto il 24%, cioè 1 su 4, è impiegato ed il 22% imprenditore o libero professionisti.
Insomma il 46%, cioè 1 su 2, è percettore o generatore di reddito. A questi si aggiungono i disoccupati che rappresentano un ulteriore 17%. In termini di caratteristiche demografiche prevalgono le donne (58%) e quelli che hanno tra i 35 e 54 anni (48%). A tal proposito bisogna dire che l’età media dei votanti in Italia è sempre superiore ai 50 anni, indipendentemente dalla tipologia di elezione. Indagando inoltre l’appartenenza politica di chi ha disertato le urne si riscontra l’esistenza di uno “zoccolo duro” del 27% che dichiara di non votare mai contro il 60% che decide di volta in volta in base alla presenza di una proposta convincente. Per esempio, il 43% di chi non ha votato alle recenti amministrative non si era recato alle urne neanche in occasione delle elezioni politiche dello scorso settembre. Nel complesso, quindi, gli astenuti sono divisi in due cluster: ¼ è costituito da “ortodossi”, cioè disillusi sull’utilità del voto, al contempo però ci sono quelli definibili “fluidi” che valutano in ogni occasione elettorale quale comportamento assumere. Insomma quelli che devono essere “corteggiati” e che influiscono sull’esito del risultato finale. Infatti se si analizza qual è stato il comportamento degli astenuti alle recenti amministrative in occasione delle elezioni politiche si nota che, oltre che il 43% non si era recato alle urne lo scorso 25 settembre, il 16% aveva votato M5S ed il 13% il PD. Da questi dati è chiaro, dunque, come la recente astensione abbia colpito più i partiti di opposizione che di maggioranza. Solo il 6% aveva scelto FDI e il 9% Lega e FI.
C’è anche da dire che la bassa affluenza alle elezioni comunali non è una novità, così come non è una sorpresa che in alcuni comuni al ballottaggio abbia votato meno del 50% degli aventi diritto. Si è persa la percezione dell’importanza del ruolo dei sindaci e quindi della loro potenziale efficacia nel determinare cambiamenti per i cittadini. Infatti la maggioranza degli astenuti (53%) ritiene che negli ultimi anni il reale potere dei primi cittadini sia diminuito ed il 53% percepisce un calo anche nella reputazione. Ciò nonostante il 51% dei non votanti pensa che la possibilità che un sindaco operi bene risieda più nella sua capacità personale che dai mezzi e dalle risorse a disposizione. Pesa però anche un dato di percezione che si diversifica a livello territoriale: se il 33% degli astenuti valuta peggiore la classe politica locale rispetto a quella nazionale, tra i residenti al Sud questa percentuale aumenta fino ad arrivare al 46%. La convinzione della scarsa influenza che può avere un sindaco per realizzare importanti interventi è testimoniata anche dall’opinione che per il 53% dei non votanti il ruolo istituzionale più importante è quello del Presidente del Consiglio, segue per il 18% quello del presidente di Regione mentre i primi i cittadini sono indicati solo dall’11%. E’ interessante notare che nel Nord l’apprezzamento del ruolo di governatore aumenta fino al 29%, cioè 11 punti in più rispetto alla media nazionale. Infine, un ulteriore elemento dirimente che influisce sulla partecipazione è il rilievo nazionale dell’appuntamento elettorale. In una election day la motivazione aumenta. Infatti nelle recenti elezioni (solitarie) della Regione Lazio e della Lombardia (Febbraio) e del Friuli (Aprile) l’affluenza è stata al di sotto del 50%, in occasione invece del primo turno delle amministrative del 14 maggio la partecipazione ha coinvolto il 59%, indicatore questo che se c’è una campagna elettorale nazionale aumenta l’importanza del voto in quanto si percepisce anche il valore politico nazionale e non solo quello strettamente territoriale.
Anche l’astensionismo è stato teleguidato in qualche modo, basta un 40% che va a votare (cioè i loro da una parte e dell’altra) proprio come avviene in Usa, giusto per continuare con la parvenza delle democrazia; in realtà oggi come oggi, nessun partito nuovo lo farebbero approcciare alle istituzioni del paese, figurati se rivoluzionario o che dissente dalla linea. L’ultimo tentativo è stato proprio il Movimento 5S, da cui in tanti sono finiti nell’astensione, basta parlare e leggere un po’ in giro. Quello che meraviglia di quest’articolo è come mai se ne occupano, dove vogliono andare a parare… Severgnini in persona disse dalla Gruber che non era poi così male, chi non vota, perchè non ci capisce, delega chi vota… è come se dicesse … fate Voi (che ci capite)
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Allora Severgnini ha ragione…, chi non vota “non capisce”.
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Eccerto dovrebbero votare tutti il partito che piace a noi, sono sempre gli altri che non capiscono. I Severgnini sono trasversali. La gente, come intelligenza collettiva, ha capito quello che c’era da capire, votare non serve a niente, si va col pilota automatico, l’agenda è compilata, bisogna solo eseguirla, chiunque ci vada. Il partito rivoluzionario serve solo ad accompagnare il cambiamento già deciso e in atto, ammorbidendo con la paghetta, senza un reale progetto di paese che non ci è concesso.
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Bè…, chi non va a votare si accontenta di quello che votano gli altri. Questo mi pare inconfutabile.
E se ti accontenti poi non hai diritto di lamentarti.
A volte, andando a votare è successo l’imprevedibile.
A volte anche Severgnini ne azzecca una.
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Si vota consapevolmente, dopo avere letto i programmi ( per quanto…) , dopo avere per quanto possibile, ” analizzato” i curricula dei nostri rappresentati ( quante volte hanno cambiato bandiera, ad esempio) e non, a mio parere ovviamente, perché non vinca X ( generalmente quello osteggiato dai media) o perché Y forse è la volta buona che metterà in atto un cambiamento.
Prima cambi e poi ti voto: di ” eroi” per un giorno ne abbiamo avuto anche troppi.
Certo che chi si astiene si ” accontenta” di quello che decidono gli altri, ma siccome abbiamo cambiato tanti governi e le cose sono sempre andate peggio e non abbiamo alcuna sovranità sui fondamentali che sono decisi altrove, mi pare ovvio che chi ha le idee più chiare decida col suo libero voto chi governi.
La democrazia funziona così.
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L’astensionismo crescerà sempre più, perchè ormai la gente ha capito che il voto non conta nulla, presto andranno a votare solo amici e parenti dei candidati. Ce lo disse Ottinger 5 anni fa:”I mercati vi insegneranno a votare bene”. Più chiaro di così…
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Il problema del non voto è legato al l’incapacità di comprendere che il cambiamento non potrà mai essere istantaneo.
L’unico cambiamento veloce è in peggio.
Della massa che nel 2018 votó 5S, parte sono tornati evasori e delinquenti tornati all’ovile.
L’altra parte non ha saputo cogliere i segnali di cambiamento verso una società più giusta, osteggiata in tutti i modi da confindustria, politici del nuovo rinascimento, media tutti.
Non hanno capito o non hanno avuto la necessaria pazienza riconfernando il voto.
E così arriviamo ad oggi.
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