Ogni giorno ha la sua pena Rai. C’eravamo lasciati con gli ansiogeni bollettini quotidiani sulle nomine perché noi, persone sensibili, empatizzavamo con le ambasce dei possibili sommersi o salvati dal governo del […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “Libereremo la cultura dal potere intollerante della sinistra”. Giorgia Meloni
Ogni giorno ha la sua pena Rai. C’eravamo lasciati con gli ansiogeni bollettini quotidiani sulle nomine perché noi, persone sensibili, empatizzavamo con le ambasce dei possibili sommersi o salvati dal governo del Merito, della Sovranità e del Made in Italy. Li pensavamo tutti, porelli, col cuore in gola a sbirciare news dal cellulare, anzi a spizzarlo come si fa con le carte da poker quando potrebbe uscire un full servito oppure il caos.
Ah, che sollievo quando si sono mirabilmente allineati i nomi di Chiocci, Preziosi, Volpi, Pionati, Ciannamea che abbiamo memorizzato come l’Italia del Mundial: Zoff, Gentile, Cabrini, Orali, Collovati. Con Scirea la roccia stabile, salda e duratura, tale e quale l’irremovibile nei secoli (e nelle reti) Mario Orfeo, l’eroe del Tg3, dell’Alcazar, o se preferite della Leningrado assediata, dell’Italia laica, democratica, antifascista e che resiste, forza e coraggio! Perfino Pino Insegno sembrava essere andato a dama (dio che fatica) anche se dopo tanto tribolare speravamo in qualcosa di meglio. Infatti, “dovrebbe approdare a ‘L’eredità’ ma non si escludono serate evento” (“Repubblica”).
Ok, quando la nostra riacquistata serenità è stata turbata da due notizie. Se la prima (“E adesso tocca alle vicedirezioni”) fa parte del “panta rei”, dell’eterno divenire della realtà e delle poltrone, sono le puntute affermazioni della premier che ci creano apprensione. Perché la minacciosa promessa di liberare la cultura, e dunque la Rai, “dal potere intollerante della sinistra” va letta in connessione con la frase precedente: “Se qualcuno deve misurarsi col merito e decide che non ce la fa non è un nostro problema”. Occhio al significato duplex che, se da una parte si rivolge ai Fazio e alle Annunziate che hanno giustamente sloggiato, dall’altro è un evidente “achtung” rivolto ai numerosi beneficiati dal regime che da subito dovranno impegnarsi a fare ascolti superiori (o almeno non inferiori) da quelli non disprezzabili raccolti dagli intolleranti della sinistra. Un serio problema che Pierluigi Celli, storico vertice di Viale Mazzini, così riassume: “Stanno scegliendo i mediocri, così si fanno male da soli”. E, dunque, lottizzati di cielo, di terra e di mare state in campana perché Giorgia, l’underdog che non deve chiede mai, “po esse fero e po esse piuma”. Infatti, “il problema con lo spoil system è che ce stanno più culi che poltrone” (Altan).
‘I vestiti nuovi dell’imperatore’ di Hans Christian Andersen
Viviana Vivarelli
Un imperatore vanitoso si occupava solo della sua immagine e non di governare bene.
Alcuni imbroglioni gli dissero che avevano tessuto una stoffa formidabile, leggera, meravigliosa, che sarebbe stata invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani in verità non la videro perché non c’era, ma per non passare da diversi ed essere giudicati male, fecero finta che il vestito ci fosse e dissero tutti che era bellissimo. Anche l’imperatore in verità non vedeva affatto il vestito che non c’era ma finse anche lui come tutti.
Così ammantato, sfilò dunque per le vie della città di fronte a una folla di cittadini che applaudivano e lo lodavano la sua eleganza.
Solo un bambino gridò: “Ma l’imperatore è nudo!”
…
Lo scopo della fiaba è denunciare una situazione in cui una maggioranza sceglie volontariamente di non far parola di un fatto ovvio, fingendo di non vederlo. E se non lo vedi, se non te ne assumi la responsabilità, il fatto non esiste, non ti riguarda.
C’è una seria legge della psicologia umana per cui ciò che non esiste nella tua mente non esiste. Si chiama “realismo”. In filosofia il realismo è la convinzione che non esista una realtà indipendentemente dai nostri schemi concettuali, dalle nostre pratiche linguistiche, dalle nostre credenze, dai nostri pregiudizi, persino dalle nostre private percezioni. Ciò che tu non hai visto o toccato o accettato per vero non esiste.
I filosofi che si dichiarano “realisti” pensano che la verità consista in una qualche forma di corrispondenza dei pensieri alla realtà. Ma qui si arriva al limite che non si parla nemmeno di pensiero in generale ma del mio privato, personalissimo, pensiero.
Insomma la vera realtà è solo quella che sta nella mia testa. Ed è così assoluta che io non ho bisogno di cercare realtà diverse o, se ne trovo, di confrontarmi con esse. Il reale comincia e finisce con me. E, se qualcuno attaccherà i miei pregiudizi e li criticherà, attaccherò lui come un aggressore di mondi, un mio distruttore personale. E se qualcuno mi dirà che un enorme gigantesco pericolo sovrasta l’umanità, sarà lui per me il vero pericolo che minaccia le mie sicurezze mentali e non il cataclisma reale.
Il ‘Cogito ergo sum’ si trasforma in ‘credo ergo existo”.
Non ne va della sopravvivenza del pianeta, ma della mia piccola sopravvivenza mentale.
In un mondo defraudato di ogni certezza, sono io la mia unica verità, la cartina di tornasole del mondo.
Il dubbio esistenziale si trasforma nella certezza egoica e assoluta.
L’avanzamento del fascismo, il cambiamento climatico o il pericolo di una guerra nucleare ne sono esempi.
L’uomo omologato, zombizzato, manipolato, l’ “Homo televisivus” non combatte più i problemi del mondo, combatte chi la pensa diversamente da lui su qualunque cosa, il vaccino come l’Ucraina, il reddito minimo come le alluvioni, e purtroppo troppi combattono ormai addirittura non chi la pensa diversamente da loro ma diversamente dal sistema, non essendo più in grado di elaborare un pensiero critico personale che si contrapponga al sistema.
E, se pure si dovesse dire qualcosa sui massimi reggitori di questo perverso sistema, li si può esecrare, ma in forma astratta, senza far nomi, come di non responsabili, essendo i problemi una specie di fatalità cosmica non addebitabile a colpa superiore. La gente soffre o muore ma sarà per caso. Non ci sono responsabili e si possono ignorare le vittime. Ma, soprattutto, “io” non sono responsabile. Mi basterà negare o ignorare l’evidenza e ne sarò fuori. E ignorare mi scagionerà da ogni obbligo di responsabilità.
Se ignoro il problema, mi diventa inutile cercarne i complici o sentire me stesso come un complice e potrò tranquillamente continuare a sostenerli o ignorare tutta la faccenda.
16 milioni di astenuti a una tornata elettrale, il 35 %, indicano chiaramente la situazione. Non viviamo più la vita, evadiamo dalla vita.
Il martellamente massiccio dei media ha prodotto due risultati: un terzo degli elettori non ne vuole sapere più mezza di politica, un’alta percentuale ubbidisce come un esercito di zombi all’ipnosi della disinformazione, una microscopica percentuale percepisce i benefici personali, macellando la democrazia.
Noi stessi partecipiamo alla gara di sotterrare nella nostra mente i dati evidenti di questa follia così da essere i nostri più pericolosi nemici. I morti saranno morti per un colpo di sonno, mai a causa di leggi o decisioni infami, che hanno nomi e cognomi. Non sapere è non soffrire. La rimozione è salvica. Il realismo perverso del non pensiero critico ci fa credere che, se non ci occuperemo dei pericoli rifugiandoci nell’effimero o in false certezze, la nostra mente sarà salva. Il nostro corpo sarà salvo. Il mondo intero sarà salvo.
C’è un tabù psichico che fa scattare tutti gli anticorpi di un organismo che ormai non ha più contrapposizioni ideologiche ma solo autodifese omogenee.
Insomma l’elefante è nella stanza, ma nessuno vuole vederlo, l’assunzione di non responsabilità è totale, anzi il vero reato è proprio denunciarne la presenza o dire i nomi di chi ha fatto entrare l’elefante, mettendo a rischio la vita di tanti, vedi Assange o Orsini o altre voci critiche che il sistema emargina, oscura, censura.
E l’elefante è la malattia, la morte per cancro o per incuria, la caduta dall’impalcatura tremolante, l’intossicazione da veleni, l’imperversare della guerra, la siccità come le alluvioni. È anche il lavoro precario senza diritti, che non ti darà mai la pensione, il malgoverno che mette a rischio la sopravvivenza, la dissoluzione dei diritti, la trasformazione di una incerta democrazia in un assoluto regime. Tutto ciò che mina la mia salute, la mia salvezza, il mio futuro, non mi permette di avere una famiglia, una casa, una speranza…Ma posso ignorarlo, sperando che se non guardo lo squalo, non mi divorerò, mentre è intento a divorar il mio vicino.
E costoro pretendono che si creda che gli aventi si creino per Caso. Loro non c’entrano. Guai a far nomi! Costoro pretendono l’abulia, la fede cieca, l’astenia, la non partecipazione, quando non solo loro che aggrediscono chi li fa pensare.
Ma forse questa fuga nel realismo esasperato è solo un modo illusorio per sfuggire alla depressione, che ci prenderebbe se non chiudessimo le porte alla verità, chiudendole anche alla speranza, all’utopia. all’amore. Forse il più disilluso è proprio colui che si crea una corazza perché il suo bambino interiore è troppo tenero e non sopporterebbe altro dolore, come fa l’innamorato deluso che giura a sé stesso che l’amore non esiste e che non potrà più amare.
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Stiamo sul concreto: non è il “martellamento dei media” che ha lasciato a casa gli elettori, ma un bagno di realtà: tutto cambia sempre in peggio.
Contro il mutuo, l’ affitto, il carrello della spesa, lo stipendio che cala, il disastro Covid, la Sanità allo sbando, gli evasori mai colpiti, gli onesti sempre spremuti, il degrado, la violenza… non c’è propaganda mediatica che tenga. Fino a un certo punto puoi parlare di “percezione”, ma poi hai voglia di chiamare in causa la psicoanalisi: quello lo possono fare ( con tanto “amore” o il “bambino interiore”) ) solo quelli che sono … al sicuro.
Chiunque governasse nulla è mai cambiato. Quindi dato che è un destino essere cornuti, almeno non partecipiamo all’ adulterio. Si arrangino tra loro. Conntro la pancia vuota non c’ “analisi” che tenga.
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