A CENA – Ospite la leader dem. A tavola i coniugi Franceschini e l’inciucista Nastasi

(DI ANTONELLO CAPORALE – ilfattoquotidiano.it) – In piena Ztl, cosicché l’immaginario è finalmente confluito nel reale, Elly Schlein è stata salutata, dibattuta e forse anche digerita nel grande, amabile attico pariolino di Claudio Baglioni, cantore dei cantori, uno e trino della canzone italiana. La novità, giustamente segnalata dal Foglio in un dettagliato articolo di geografia politica nelle note a colori di un Pd finora estraneo alla sua segretaria, ancora per metà dentro e per metà fuori al partito, è che lei, la giovane Elly, dalla periferia bolognese, ove si era rifugiata dopo la vittoria, è riapparsa al centro del centro, convenuta e benvoluta, seguendo il tragitto del potere: e dunque dai margini al cuore, dalla provincia alla Capitale. In casa Baglioni ma con una schiera di illuminati attori, cineasti, eccetera, il perdutamente friendly cenacolo dove si è dibattuto tanto e magari convenuto poco.

Certo è che la schiera degli ospiti chiamati a conversare e soprattutto a valutare nel primo sommario giudizio questa giovane hip hop della politica italiana è stata variegata e assai autorevole. Paolo Sorrentino e Carlo VerdoneLuca Zingaretti e Luisa RanieriGiuliano SangiorgiGabriele Muccino. Eccetera. A far da Caronte Dario Franceschini, il ministro uscente della Cultura e sponsor tecnico della felice candidatura Schlein. Insieme alla moglie e deputata Michela Di Biase. A rafforzare il nucleo dei Caronti, Salvo Nastasi: quattordici anni direttore generale al ministero, per altri tre segretario generale, e poi commissario al San Carlo, al Maggio fiorentino, all’Arena. Soprattutto gestore del Fus, il fondo dello spettacolo che finanzia le opere dell’ingegno e della vasta arte. Oggi presidente della Siae.

Così il partito, fino a ieri collocato nella zona d’ombra dell’extra-strong: cioè troppo a sinistra, troppo in odore di sardinismo, troppo infatuato dei diritti civili e poco di quelli sociali, si è ritrovato d’un tratto ricollocato nella testa di serie del radicalismo chic, nell’immortale luogo di un veltronismo ma senza Veltroni (per il momento). Le carte le ha date Franceschini del quale si diceva che in qualche modo al tempo le ricevesse da Nastasi, primula rossa del renzismo, poi amabilissimo negoziatore tra poteri forti.

Intanto Schlein è stata analizzata da Claudio Baglioni, che la incrociò, sembra, in un anfratto degli studi televisivi di Che tempo che fa. Ma questo anni fa. E a ben pensarci anche il luogo del primo incontro è distintamente significativo perché proprio Fazio sarà, con ogni probabilità, il primo dei grandi volti Rai a essere mandato in castigo dal governo meloniano. Castigo che per Nastasi, per rimanere all’attualità, significa oggi la presidenza un po’ meno cruciale della Siae.

E, a sentire gli ospiti, la serata con Elly è stata appassionata, “divertente, e lei simpatica, carina”. Colpiscono i Parioli ma certo viene in mente quando Pier Luigi Bersani, innamorato perso dei cosiddetti “gruppi d’ascolto”, sorta di brevetto per agganciare la moltitudine delle corporazioni, agganciò fuori mano la ricca e paludata schiera di cineasti e attori in odore di governo. Fu chiamato Miguel Gotor, oggi assessore a Roma, a organizzare un pranzo. Che deviò dal centro, perché si finì tutti a mangiare il pollo alle mandorle sulla via Flaminia. “Piacere, Miguel”, “Molto lieto, Gotor”. Sulle sedie, attori e registi come Germano, Corsicato, De Maria, Favino, Ferrari, Franchi, Nicchiarelli e Scamarcio. Sul trono, il professor Miguel Gotor, l’apostolo del Pd in terra d’arte.

Gotor plenipotenziario con Bersani in procinto di “smacchiare il giaguaro”, e poi si è visto (elezioni non vinte). Comunque il caminetto del cinema italiano fu un successo. Il padrone di casa era, o forse solo si sentiva, candidato al ministero della Cultura (ma in lizza c’erano Orfini e Nichi Vendola, il cui irritato entourage contestò con parecchia bile la voce dell’incarico ministeriale: “Chi cazzo ha sparso la notizia che Gotor diventerà ministro?”). Tutto finì come si sa, in un niente.