“La storia ci racconta come finì la corsa / La macchina deviata lungo una linea morta”, così cantava Guccini, e oggi quell’immagine ben si addice alla sorte del Superbonus […]

(DI GIOVANNI CARROSIO E VITTORIO COGLIATI DEZZA* – Il Fatto Quotidiano) – “La storia ci racconta come finì la corsa / La macchina deviata lungo una linea morta”, così cantava Guccini, e oggi quell’immagine ben si addice alla sorte del Superbonus, finito su un binario morto. Una scelta che farà pagare al Paese un prezzo pesante sugli effetti del cambiamento climatico e sulle condizioni abitative dei vulnerabili, oltre ad allontanarlo dall’Europa.

In tre mosse (il dl 176/2022 convertito in legge 6/2023, la legge di Bilancio 2023, il dl 11/2023 convertito in legge il 5.4.2023) l’esecutivo guidato da Meloni ha cancellato il Superbonus: stop a cessione del credito, allo sconto in fattura e all’acquisizione del credito da parte degli Enti locali, progressivo rientro nei ranghi della detrazione fiscale da qui al 2025 (90% nel 2023, 70% nel 2024, 65% nel 2025). Ma perché? Le ragioni stanno nel successo della misura, che ha scatenato l’arrembaggio del mercato, con la complicità della gestione del governo Draghi, che non avrebbe previsto l’ovvio, ossia che quella modalità di cessione dei crediti avrebbe ragionevolmente portato a far gravare l’intero importo di ogni credito sul disavanzo pubblico sin dal momento della sua accensione. Per questo vi era la necessità di mettere ordine nelle dinamiche tra disavanzo (esploso a più del 9% nel 2021 e 2022) e debito pubblico, e di placare la preoccupazione, soprattutto di Banca d’Italia, per la circolazione di crediti in un mercato parallelo e per il problema dei “crediti incagliati”.

Ma perché cancellare in toto il Superbonus? Certo, il disegno della misura non era perfetto: la provvisorietà del provvedimento e le scadenze a breve termine, la timidezza degli obblighi di efficientamento energetico, l’incentivazione prevista anche per le caldaie a gas, la generosità finanziaria anche verso classi sociali che non ne avrebbero bisogno. Questi limiti però non eliminano i pregi. Si è trattato della prima e unica politica energetica che grazie alla trasformazione della detrazione in credito d’imposta cedibile ad altri soggetti e alla copertura totale delle spese, è stata capace di includere gli incapienti e di consentire ai più vulnerabili – quelli su cui incide di più la spesa per le bollette – di fare interventi per ridurre i consumi nelle proprie abitazioni. Nomisma stima un risparmio in bolletta del 30,9% per un salto di 2 classi e del 46,4% per un salto di 3 classi, con un risparmio complessivo di circa 29 miliardi (in media 964 euro all’anno a famiglia). Una misura che ha superato il profilo regressivo delle precedenti: secondo i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio presentati il 2 marzo 2023, dal 2008 al 2020 (prima dell’entrata a regime del Superbonus) si è passati da 2,6 miliardi di detrazioni fruite a 9,9 miliardi di cui 7,9 per ristrutturazioni e 2 miliardi per efficientamento energetico, con la metà dell’ammontare totale delle detrazioni fruito da poco più del 10% dei contribuenti più ricchi. Secondo Nomisma, 1,7 milioni di italiani con reddito medio-basso hanno beneficiato del Superbonus, mentre è aumentata in modo significativo la fruizione nei Comuni a reddito più basso. E notevole è stato l’impatto in termini occupazionali e di sostegno della domanda. Secondo Bankitalia, tra il 2019 e il 2022 il comparto delle costruzioni ha registrato aumenti del valore aggiunto e dell’occupazione nell’ordine del 27 e del 18%, rispettivamente, con circa un milione di occupati in più, tra edilizia ed indotto, e un contributo del 2% alla crescita del Pil. Ora tutto viene bloccato mentre l’Europa va nella direzione opposta. Il 14 marzo il Parlamento europeo ha approvato la direttiva Energy performance of buildings directive, che deve affrontare il negoziato con il Consiglio per arrivare alla versione finale. Al momento prevede, con la possibilità di qualche deroga, il passaggio alla classe energetica D per tutti gli edifici entro il 2033. Alla luce della direttiva, anche Ance (associazione dei costruttori edili), chiede “strumenti e fondi” per raggiungere gli obiettivi senza lasciare indietro nessuno.

Quello che serve è una politica strutturale con obiettivi chiari in termini di risultati attesi e di tempistiche, con incentivi stabili per un periodo lungo, con un quadro di regole certo per gli operatori del settore, favorendo i necessari investimenti in formazione del personale e macchinari.

Dal punto di vista della riduzione delle emissioni, bisogna favorire interventi che consentano il salto di 3 classi energetiche e che escludano l’utilizzo di caldaie a combustibili fossili. Infine il meccanismo dovrebbe prevedere una struttura differenziata per fasce di reddito che consenta di invertire la marcata regressività alla quale si espone il nuovo meccanismo del 90%. Proprio per questo centrale nella nuova politica è mantenere la cessione del credito per le fasce vulnerabili.

*Forum Disuguaglianze e Diversità