Il sostituto pg di Milano usa la tecnica “cherry picking”: dimentica nel loro insieme le evidenze, omette ciò che è fragile, isola dati ad hoc. Ho studiato con curiosità quasi famelica l’atto con cui il sostituto procuratore […]

(DI SELVAGGIA LUCARELLI – Il Fatto Quotidiano) – Ho studiato con curiosità quasi famelica l’atto con cui il sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser ha avanzato la richiesta di revisione del processo sulla strage di Erba. Analizzando con attenzione le 58 pagine in cui abbondano passaggi infervorati del tipo “Ma c’è di più!” o espressioni enfatiche come “lo standing morale (dei consulenti ndr) mi ha convinto”.

Si ha più la sensazione di ascoltare l’ennesima intervista agli avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano o di assistere alla ventesima puntata de Le Iene (che poi è lo stesso) che a qualcosa di nuovo. Del resto, come mi ricorda sempre uno degli avvocati più noti d’Italia, “noi pensiamo che i giudici siano creature superiori, ma alla fine la sera si siedono sul divano e guardano anche loro Quarto grado”.

Intanto mancano le famose “nuove prove” che occorrerebbero per una revisione, ma si avanzano alcuni dubbi su tre prove (il sangue, la testimonianza di Frigerio, le confessioni) di cui da anni la difesa dei due “poveracci imbranati” (così li definiva ieri Vittorio Feltri su Libero) discute con tesi esposte all’infinito. Prove che Tarfusser definisce “le sole tre che inchioderebbero Rosa Bazzi e Olindo Romano”. Come dire che il suicidio di Adolf Hitler è l’unica prova che lo inchioda alle colpe dell’Olocausto. Chiunque conosca gli atti sa che il quadro probatorio è imponente e solidissimo. E questo al di là, perfino, delle prove che gli avvocati Fabio Schembri e Paolo Sevesi, le Iene e il sostituto Pg considerano false e manipolate.

Non avendo sposato alcuna tesi iniziale e non dovendo abbracciare quella della colpevolezza di Rosa e Olindo, applicando la consueta tecnica di cherry picking, cui attinge chiunque voglia sostenere una tesi a tutti i costi omettendo tutti gli elementi che la indebolirebbero, non ho alcuna difficoltà a riconoscere che la testimonianza di Frigerio presenti degli elementi di debolezza. Forse, nel fumo sprigionato dall’appartamento, sulle scale, non vide bene chi lo accoltellava, parlò vagamente di “pelle olivastra” (e comunque Olindo non è esattamente un finnico), poi forse subì qualche domanda orientante di troppo. Facciamo pure che l’altra prova, la traccia di sangue ritrovata nell’auto, sia stata ottenuta con una modalità su cui la scienza oggi può sollevare dei dubbi. Restano le due confessioni, e qui mi rammarico con Tarfusser, ma nessun argomento, scientifico o da bar, potrà mai smontarle. Inoltre il suo definire Rosa e Olindo “un netturbino e una semianalfabeta” sottoposti a una pressione psicologica in un contesto malato appare, questa sì, una ricostruzione suggestiva. Le confessioni, soprattutto quella di Rosa Bazzi, sono autentici flussi di coscienza senza interruzioni anche per sei minuti di seguito e senza pressioni. Bazzi snocciola il movente, la premeditazione, le modalità della strage, le reazioni delle vittime e, soprattutto, il suo stato d’animo, parlando di sollievo, della sensazione di rivalsa sull’odiata Raffaella. E lo fa non certo da poveretta semianalfabeta schiacciata dagli eventi, ma da persona capace di analizzare l’accaduto nella sua feroce verità. Più che una confessione, la sua appare una rivendicazione.

Le confessioni contenevano elementi che solo i due potevano conoscere (il colore dell’accendino usato per appiccare il fuoco, il non consueto modello d’auto usato quella sera da Raffaella). E poi c’è il fatto che Rosa, mancina, abbia confessato l’omicidio del bambino e che gli esami abbiano accertato che il bambino sia stato sgozzato da una persona mancina. Sì, ci sono anche imprecisioni, ma temo che uccidere cinque persone in preda all’adrenalina, in mezzo poi al sangue, al fumo, possa aprire qualche lacuna. E che Tarfusser sostenga che i due coniugi all’inizio si siano dichiarati innocenti, come se questo dovesse dimostrare qualcosa, fa perfino sorridere. Annamaria Franzoni sono 20 anni che si professa innocente. Di certezze granitiche, quelle che né la tv degli scoop né il sostituto Pg citano, ce ne sono: Rosa e Olindo hanno confessato di aver staccato il quadro elettrico e solo loro lo sapevano. Olindo ha scritto i famosi appunti nella sua Bibbia in cui confessava l’omicidio e lo stesso fece in una lettera inviata a un sacerdote. I due coniugi avevano il movente del rancore ossessivo. Odiavano Azouz, avevano preso a pugni Raffaella, l’avevano minacciata di morte, la pedinavano in macchina. Avevano un incontro dal giudice di pace con lei pochi giorni dopo la strage. E alla fine sono stati anche condannati, solo che Raffaella l’avevano ormai ammazzata. La mite Rosa diceva a Raffaella: “Puttana, ti sei scopata tutta Erba”, “ti faccio uscire di qui in una bara”, “la prossima volta ti ammazzo”. Quella sera le forze dell’ordine bussarono alla loro porta alle due di notte, c’era una lavatrice che girava e Rosa e Olindo con strane ferite a braccia e dita.

Tarfusser ha ricostruito la vicenda come certi brutti programmi tv: dimenticando le prove nel loro complesso e isolando dei dati che, anche a volerli ritenere fragili, da soli non possono scardinare il granitico quadro d’insieme. E certo non saranno alcuni nomi altisonanti tra i consulenti di parte (quelli citati dal Pg) a poter riscrivere la verità. Tantopiù che la scienza è molto elastica quando si parla di ricordi e di mente umana. Infine, una considerazione morale: questa vicenda non si è limitata, come vorrebbe far credere qualcuno, a voler indagare sull’innocenza eventuale di Rosa e Olindo. Quello, seppure discutibile, era legittimo. Si sono confusi, anche, due piani di realtà affermando che, se l’indagine contiene alcuni errori, allora Rosa e Olindo sono innocenti. Se così fosse, basterebbe trovare errori in ogni indagine e gli assassini sarebbero tutti innocenti. Rosa e Olindo sono colpevoli anche stracciando il Dna e trovando incerta la confessione di Frigerio. In secondo luogo, Le Iene e qualche altro giornalista in questi anni hanno gettato su alcune delle vittime di questa vicenda – i fratelli Castagna – ombre infami di presunta colpevolezza. Ricordiamo che Antonino Monteleone fissò un finto appuntamento di lavoro con Pietro Castagna per tendergli un’imboscata in pieno giorno e porgli domande insinuanti. E quei servizi subdoli sono costati alle vittime l’odio di migliaia di persone sui social: persone che i Castagna hanno deciso in parte di denunciare, ottenendo condanne. Anche Azouz, che li ha accusati in questa delirante campagna innocentista-negazionista, è stato condannato. E Le Iene a breve affronteranno una causa civile con i Castagna, che dopo quei servizi hanno dovuto affrontare problemi di ogni tipo: legali, psicologici, fisici, vivendo l’incubo della vittimizzazione secondaria. Lo stesso vale per la figlia del povero Frigerio, deceduto, che vive uno stato di grande prostrazione.

In tutto questo, Tarfusser sembra invece ipotizzare la tesi della vendetta tra spacciatori. Peccato che nessuno abbia mai saputo spiegare perché, per uno sgarro di droga tra tunisini, qualcuno avrebbe dovuto compiere una rischiosa mattanza dentro un cortile abitato e uccidere perfino un bambino di due anni, anziché eliminare direttamente Azouz, magari comodamente in un parcheggio. Ma la logica, in questa vicenda, è annebbiata dal fumo come il cortile di Erba in quella notte.