Fino a 100 boss in regime speciale con un solo legale. Lo scorso 6 dicembre, a Palermo, Angela Porcello, avvocata a Canicattì (Agrigento) fino all’arresto nel 2021, è stata condannata in primo grado […]

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – Il Fatto Quotidiano) – Lo scorso 6 dicembre, a Palermo, Angela Porcello, avvocata a Canicattì (Agrigento) fino all’arresto nel 2021, è stata condannata in primo grado a 15 anni per associazione mafiosa. Nel variegato compendio accusatorio ci sono anche gli incontri della professionista con il boss Giuseppe Falsone, uno dei più importanti dell’Agrigentino, detenuto al 41 bis, e il presunto tentativo di portare fuori dal carcere alcuni suoi messaggi.
Non c’è bisogno di tornare ai tempi di Memi Salvo e dei fratelli stragisti Graviano, né di ricordare l’avvocato Michele Santonastaso, i suoi rapporti con il boss casalese Francesco Bidognetti e il proclama contro Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione. Il problema a volte c’è, o almeno può esserci. Specie quando un solo avvocato difende decine di detenuti sottoposti al regime speciale che serve a impedire i contatti con le organizzazioni criminali ed è l’unico a parlare con loro, con tutti loro, senza poter essere registrato. O quando non sembra neppure ricordare quanti ne assiste, come nel caso dell’avvocata Piera Farina di L’Aquila, che secondo il “censimento” richiesto al Dap dalla Commissione antimafia, risalente al 2016 e reso noto il 3 aprile da Report, a un certo punto aveva ben 108 clienti al 41 bis, un record, poco meno di un settimo sui 740 di tutta Italia. “Oddio no, ne sa più me? Le giuro che… no, non lo so… Come ha fatto a contarli?”, ha detto Farina a Giorgio Mottola di Report. Oggi quanti ne ha? “Ma mi crede? Non glielo so dire”. Sono tanti a L’Aquila, però…
Ai tempi della ricognizione del Dap, ha spiegato Mottola, c’erano “moltissimi avvocati” che “seguivano fra i 10 e i 30 boss mafiosi in contemporanea e due superavano quota cento”. Non sono certo delinquenti, ci mancherebbe, ma il tema c’è, come sottolineato dal procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita, e dal sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, sentiti da Report. Perciò sorprende l’alzata di scudi delle Camere Penali; quella di Roma ha querelato Sigfrido Ranucci e Mottola: “Gravissime insinuazioni e gratuite diffamazioni che sfociano persino nella calunnia nei confronti di alcuni dei più apprezzati componenti della nostra Associazione”. Devono riferirsi a un elenco inquadrato per qualche istante. Ieri ha alzato la voce anche l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali, che su l’Opinione ha scritto di “fango nel ventilatore” e “antimafia brandita come un manganello”. Ranucci ha replicato: “Nessuna diffamazione o insinuazione. Solo fatti documentati. Unica finalità: evidenziare le falle del 41 bis”, ha detto il conduttore, precisando di aver “chiarito che il 41 bis è uno strumento al limite della violazione dei diritti umani, si regge sul presupposto di tutelare la sicurezza della collettività e per questo va gestito con estrema cautela”.

Speriamo ora che contro Report non si scateni Matteo Renzi, peraltro difeso da Caiazza a Firenze, o magari Maria Elena Boschi, vicepresidente della Vigilanza Rai. E speriamo che fra i tanti avvocati che manifestano solidarietà a Ranucci e Mottola qualcuno, sobriamente, suggerisca agli Ordini forensi un minimo di autoregolamentazione sul 41 bis, anche senza arrivare all’incompatibilità stabilita per legge in relazione alla difesa dei pentiti che accusano la stessa persona.
“A REPORT NESSUNA DIFFAMAZIONE, SOLO FATTI DOCUMENTATI”

(Sigfrido Ranucci) – La difesa dei diritti non è una maglietta che si indossa di giorno per poi riporla in un cassetto la sera’. “Nessuna diffamazione o insinuazione. Solo fatti documentati. La puntata di ‘Report’ oggetto di contestazione aveva come unica finalità evidenziare le falle del 41 bis in un contesto di estrema attualità partendo dalla ricostruzione del caso Cospito.
Ho chiarito all’inizio della trasmissione che il 41 bis è uno strumento che è al limite della violazione dei diritti umani e che si regge esclusivamente sul presupposto di tutelare la sicurezza della collettività e che per questo va gestito con estrema cautela.
Il documento pubblicato da ‘Report’ denunciava che i casi di oltre 100 mafiosi al 41 bis fossero gestiti da un solo avvocato: è un fatto e non era assolutamente secretato, sottolinea il giornalista. “Che sia un’anomalia è l’idea, non di ‘Report’, ma della commissione parlamentare antimafia che ha approfondito la vicenda proprio per valutare la portata. ‘Report’ ha correttamente riportato la notizia sottolineando il rischio che comporta un’anomalia del genere, coadiuvato anche dal parere di esperti magistrati antimafia, sottolineando la buona fede e professionalità degli avvocati”.
Per Ranucci, “aver mostrato tale anomalia rappresenta, come detto in trasmissione, una tutela per gli stessi avvocati”. La difesa dei diritti non è una maglietta che si indossa di giorno per poi riporla in un cassetto la sera. Chi accusa ‘Report’ di non avere cura per i diritti dei detenuti e la possibilità di un loro reinserimento nella società, non ricorda le numerose puntate realizzate negli anni, l’ultima appena due anni fa in pieno Covid.
Report da sempre si batte per la difesa dei diritti dell’uomo e della libertà di espressione. Ma Report ha anche il culto per la memoria: quello di ricordare il dolore dei familiari delle vittime delle stragi di mafia e del terrorismo e che il 41 bis è un’architrave della lotta alla mafia che Totò Riina voleva far abolire inserendolo nel papello.
Sigfrido Ranucci
Solidarietà totale a Ranucci e Report.
Queste querele sanno tanto inviti a tenere la bocca chiusa.
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Magari ci fossero più Ranucci , meno farine e meno caiazzi…
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