IL REPORT DEL GRUPPO CRONISTI LOMBARDI – Informazione k.o. Gli indagati Covid, Jessy e Wibe travolte sulla A24, Abigal accoltellata a Roma: tutte notizie “silenziate” dalla riforma, con l’alibi del garantismo […]

(DI VINCENZO IURILLO – Il Fatto Quotidiano) – L’apice si è toccato con il surreale comunicato stampa con cui la Procura di Bergamo ha annunciato la chiusura della maxi-inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid, letto anche nei giorni scorsi da Sigfrido Ranucci a Report: 21 righe per liquidare, senza un nome, senza un chiarimento sulle posizioni e sulle imputazioni, senza nessuna informazione utile per una ricostruzione giornalistica decente, un’indagine di enorme interesse pubblico che coinvolgeva l’allora governo, l’attuale presidente della Regione Lombardia e importanti dirigenti del ministero della Salute. “In ottemperanza alla riforma Cartabia”, ha sottolineato Ranucci.
Parafrasando Humphrey Bogart ne L’ultima minaccia, film capolavoro di Richard Brooks che narra il giornalismo di inchiesta Usa negli anni 50, “è la riforma Cartabia, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Stavolta, però, non partono le rotative che inchiostrano un clamoroso scoop contro il boss mafioso americano. Al contrario, qui si ostacola la diffusione delle notizie, ergendo un muro nei rapporti tra cronisti e fonti istituzionali dei Corpi di polizia giudiziaria e delle procure che blocca informazioni su inchieste, omicidi, fatti di sangue e di violenza. Un bavaglio. Un attentato al diritto di informare e di essere informati. E il comunicato di Bergamo è solo la punta di un iceberg fatto di centinaia di casi.
Tre notizie nascoste Cronaca nera “al buio”
Qualche esempio? Per oltre tre giorni la stampa è stata tenuta all’oscuro di una brutale aggressione a sfondo razzista di un dipendente di un noto fast food nei pressi di piazza Navona a Roma. L’uomo era stato picchiato e insultato da un gruppo di ragazzi solo per aver chiesto di spostarsi da un’area delimitata che stava pulendo.
Sempre a Roma, la morte di due turiste belghe è rimasta ignota all’opinione pubblica per un paio di giorni. Furono travolte e uccise lo scorso ottobre da un’auto pirata sulla bretella autostradale della A24 mentre, scese da una vettura a noleggio, stavano prestando soccorso ai feriti di un incidente: il black-out informativo sarebbe durato chissà quando se non ne avessero dato notizia i parenti sui social network, ricostruendo parzialmente l’accaduto.
A Milano, invece, in zona Città Studi, un ragazzo algerino è stato ucciso con una coltellata: i carabinieri hanno seguito le tracce di sangue per alcuni metri e sono arrivati all’appartamento dell’aggressore. Ma i cronisti, dopo un giorno, ancora non avevano ricevuto il nome dell’assassino, mentre quello della vittima era emerso solo per vie traverse. Eppure l’assassino era stato fermato praticamente in flagranza di reato, non c’era nessun segreto investigativo da tutelare.
La riforma bavaglio L’allarme dei giornalisti
Sono solo alcune delle storie raccontate dal Press Report 2023, curato da quattro anni dal Gruppo cronisti lombardi, quest’anno con il supporto di colleghi di altre regioni. Un documento che illustra e commenta gli effetti e i guasti prodotti durante il “2022 che resterà negli annali giornalistici come l’annus horribilis della riforma Cartabia, un vulnus al diritto dei cittadini a essere informati”, ci dice il presidente del gruppo Cronisti Lombardi, Fabrizio Cassinelli.
La riforma entrata in vigore il 14 dicembre 2021 avrebbe dovuto tutelare la “presunzione d’innocenza”, recependo una direttiva europea 343 del 2016. In teoria, si voleva introdurre il principio di non esprimere giudizi e affermazioni di colpevolezza in caso di indagini non giunte a sentenza definitiva, per non creare ferite all’immagine e all’onorabilità della persona. In pratica, applicando in modo estensivo la normativa, ha trasferito alle procure il potere di decidere cosa merita di diventare notizia e cosa no.
I “dominus” i procuratori capo
In particolare ai procuratori capo, i “dominus” chiamati a valutare l’interesse pubblico di un fatto, compito-filtro che dovrebbe spettare ai giornalisti e non a una figura che, per quanto autorevole, non è terza ma è parte del procedimento in corso. Tra gli effetti della riforma, poi, se prima i comunicati di polizia arrivavano nelle caselle email dei giornali all’alba, ora arrivano in tarda mattinata perché sono prima sottoposte al vaglio dei procuratori: senza il loro ok, non partono.
Il peggio si nasconde tra le pieghe, tipo l’obbligo nella maggior parte dei casi per i procuratori di dare notizie solo attraverso comunicati stampa. “Così ai giornalisti viene vietato perfino di porre domande” ricorda Paolo Colonnello, caporedattore di Milano de La Stampa. Il Press Report ricorda altre cattive prassi che sono nate dietro al paravento della riforma. “Signori, buonasera e scusate, ma non siamo autorizzati a dare notizie”, scrivono gli ufficiali dei carabinieri nelle chat per i giornalisti, mentre qualcuno prova a chiedere informazioni su un qualunque omicidio. “Accade così in ogni parte d’Italia ormai – ci ricorda il corrispondente de Il Messaggero Giovanni Del Ciaccio – come quando, a Frosinone, nessuno era autorizzato a dirci se il ragazzo di 19 anni colpito da uno sparo era vivo o morto”.
E così “l’accentramento della comunicazione ha creato un corto circuito che genera un grave aumento della pressione sui singoli procuratori – rimarca il cronista Cesare Giuzzi del Corriere della Sera, il cui direttore Luciano Fontana ha partecipato al report – in questo modo anche le informazioni su un ‘banale’ incidente stradale devono passare attraverso la chiamata in causa del procuratore capo da parte dei giornalisti. Una follia”.
Fuori dal tempo l’età dell’iperconnessione
Altro caso finito nel Press Report: a fine anno una turista israeliana è stata accoltellata mentre si trovava davanti alle biglietterie elettroniche della stazione Termini di Roma. Dalle fonti istituzionali tutto tace. Si scopre solo il giorno dopo dal sito di un quotidiano di Israele.
La tempistica nell’informazione è importante, non solo per la sua qualità. “Ma molti avvenimenti vengono divulgati non quando sono in corso, come è sempre stato e come richiede una società trasparente sempre più veloce nei suoi tempi, ma quando ormai sono terminati o risolti, depotenziandone la portata politica e sociale e creando una evidente distorsione della realtà sociale, dove tutto sembra che vada bene”, chiosa il Gruppo Cronisti Lombardi. Chissà se non fosse questo il fine ultimo della riforma bavaglio.
Bisogna entrare nel governo di santo Mario per diffondere le proprie leggi. 😄😆
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l’ha voluta mattarelle e questo spiega chi è mattarella
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