La dirigente romana, in buoni rapporti con la sorella della presidente del consiglio, potrebbe diventare la “prima donna a capo di una partecipata statale” che la premier accarezza da mesi. Ma tutte le sue esperienze sono nel settore delle tlc, da Alcatel a Lucent fino al colosso finlandese, non in quello elettrico

(Andrea Greco – repubblica.it) – MILANO – Potrebbe essere Giuseppina Di Foggia la prima “amministratrice delegata” di una grande società pubblica quotata. Il nome della dirigente romana di 53 anni circola da settimane per la guida di Terna, monopolista italiano della rete di elettrica controllato dal Tesoro tramite Cdp Reti (29,8%). E dovrebbe entrare nella lista definitiva che nelle prossime ore il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti firmerà per la pubblicazione e da sottoporre all’assemblea Terna convocata il 9 maggio, se l’attuale ad, Stefano Donnarumma, dovesse essere “promosso” alla guida dell’Enel.

Di Foggia è un’esperta di reti: anche se quelle di telecomunicazione, non quelle per trasmettere l’elettricità. E sembra sia amica di Arianna Meloni, sorella della premier che in queste ore è più decisa che mai a dettare la linea sulle nomine delle big five Enel, Eni, Leonardo, Poste, Terna. E nella “linea” c’è la ricerca di un capo donna, come disse l’8 marzo: “La sfida non è quante donne siedono in un cda, è quando avremo il primo ad di una partecipata statale donna. E’ uno degli obiettivi che mi do perché non c’è mai stato e credo che questa sia la grande sfida della parità”.

Laurea in ingegneria e carriera tutta nel mondo Nokia

Di Foggia è laureata in ingegneria elettronica, con specializzazione in telecomunicazioni, alla Sapienza di Roma, ha un master in Professional Project Management conseguito allo Stevens Institute of Technology negli Usa, e ha svolto corsi di specializzazione e general management presso la Sda Bocconi e la Luiss.

Del titolo di “ad” può già fregiarsi, da tre anni: Nokia, la filiale del colosso finlandese famoso per i telefonini e poi specializzato in programmi e servizi per infrastrutture di rete, tre anni fa chiamò a guidare le sue attività in Italia e a Malta. Una promozione giunta dopo 25 anni di carriera molto lineari, e praticamente tutti nella stessa azienda: dal 1998 in Lucent Technologies, diventata dal 2006 Alcatel-Lucent e dal 2016 inglobata da Nokia. Nel settore Ict (internet e telecomunicazioni) ha rivestito diversi incarichi tecnici e commerciali, dalla responsabilità di Ricerca e sviluppo nel radiomobile alla rete intelligente, dalla direzione progetti. “Il mio obiettivo – disse all’epoca, in pieno lockdown – sarà fornire la tecnologia e l’innovazione di Nokia per la sfida digitale che l’Italia affronta, e supportare i nostri clienti nell’offerta di tecnologie e servizi digitali quali la connettività a banda ultra larga, 5G, IoT, cloud, sicurezza, intelligenza artificiale”.

Dalle “presidenti donna” di Renzi alle ad donna

Nove anni fa il neonato governo di Matteo Renzi esordì con una tornata importante di nomine (le aziende sono le stesse di prossimo rinnovo, poiché i mandati sono triennali) e scelse personalmente importanti manager: molti dei quali sono ancora in gioco, come Claudio Descalzi (Eni), Francesco Starace (Enel), Matteo Del Fante (Poste). Anche Renzi aveva un’idea per le donne ai vertici, e fu quella di indicarle per le presidenze. Una strategia spiegabile con il fatto che all’epoca era più difficile trovare dirigenti di alto livello donne in Italia, e che quindi “le presidenti”, a pochi anni dall’introduzione della legge sulle quote rosa nei cda delle quotate (un quinto dei consiglieri nel 2011, il 30% dal 2015 e due quinti dal 2020), avrebbero aiutato la componente femminile a rompere il tetto di vetro ai vertici delle grandi aziende.

Non sempre la realtà delle singole “presidenti” è stata all’altezza degli auspici: e la governance delle grandi partecipate statali da anni registra lo strapotere degli amministratori delegati, a fronte di una insufficiente mediazione dei presidenti (spesso donne) nel dirimere la dialettica tra management, consiglieri e azionisti. Colpa soprattutto della classe di governo, quando ha privilegiato scelte basate sul genere, o sul network, a quelle ispirate da reali competenze. In attesa delle scelte del governo attuale, e di vedere i nominati all’opera, risultano i buoni rapporti tra Di Foggia e le sorelle Meloni, rinsaldati si dice agli ultimi Workshop Ambrosetti sul lago di Como, dove tutte erano ospiti.

Per fortuna dai tempi del governo Renzi di donne manager in Italia ne sono venute avanti diverse. Da Lorenza Lei, dg della Rai dal 2011 al 2012, a Roberta Neri, ad di Enav nel 2015 per la quotazione. Da Laura Cioli, ad prima di Rcs poi di Gedi, a Lucia Morselli, presidente e ad di Acciaierie d’Italia, di cui Meloni ha grande stima (ricambiata). Da Margherita Della Valle, ad e direttrice finanziaria del Gruppo Vodafone, ad Alessandra Perrazzelli, ex ad di Barclays Italia oggi vice dg di Bankitalia. Da Alessandra Ricci, ad della pubblica Sace, a Elena Goitini, la prima banchiera italiana che guida Bnl-Bnp Paribas. Da Francesca Bellettini, ad di Yves Saint Laurent, a Cristina Scocchia, ad di Illycaffè. C’è quasi l’imbarazzo della scelta, per Meloni o per qualsiasi altro azionista cerchi una donna come capo. L’importante è scegliere in base alle competenze e all’adeguatezza, senza farsi abbagliare da logiche di potere o di appartenenza. Che poi sono il vero “tetto di vetro” dei governi italiani: anzi, di cemento.