Con la cessione annunciata dei quotidiani dell’ex Gruppo Editoriale L’Espresso pubblicati nel Triveneto, mezza dozzina di testate distribuite fra Venezia e Trieste, la Gedi di John Elkann inferisce un altro colpo alla libertà e al […]

(di Giovanni Valentini – Il Fatto Quotidiano) – “Da Google a Facebook, per gli OTT l’informazione è un’occasione di straordinario guadagno attraverso la raccolta pubblicitaria e non solo” (da Le mani sull’informazione di Paolo Panerai – Solferino, 2023)
Con la cessione annunciata dei quotidiani dell’ex Gruppo Editoriale L’Espresso pubblicati nel Triveneto, mezza dozzina di testate distribuite fra Venezia e Trieste, la Gedi di John Elkann inferisce un altro colpo alla libertà e al pluralismo dell’informazione. Non solo nel Nord-Est, ma di riflesso in tutto il sistema nazionale della stampa. La “catena” concepita a suo tempo da Carlo Caracciolo, in alternativa al predominio mediatico dei giornali radicati nella Vandea Bianca, viene rotta così dal nipotino americano di suo cognato, l’Avvocato Agnelli, smobilitando un presidio d’impegno civile e democratico.
Il fatto è che Caracciolo era, come si diceva una volta, un editore puro: cioè un imprenditore illuminato che faceva i giornali – dall’Espresso a Repubblica – per fare informazione. E come lui, c’erano allora la famiglia Mondadori (con un parente acquisito della levatura di Mario Formenton) e la famiglia Rizzoli che con la carta stampata avevano fatto entrambe fortuna. Mentre il giovane Elkann non è un editore, ma piuttosto un imprenditore-finanziere che vuole fare soldi e affari.
Si sa che ormai l’editoria dei giornali è in crisi, sebbene la “domanda” di informazione sia inversamente proporzionale a questo trend. Schiacciati fra la televisione, Internet e i social network, i quotidiani faticano a stare in piedi. E fa bene l’autore del libro citato all’inizio a richiamare l’attenzione sull’oligopolio degli Ott, i cosiddetti Over the top: cioè i colossi del web come Amazon, Facebook e Google, che hanno allungato le mani sull’informazione altrui, sfruttando a fini pubblicitari quella prodotta dai giornali e dai giornalisti senza neppure riconoscere i diritti agli editori. Questo è un saccheggio su scala planetaria e va regolato a livello sovranazionale, per limitare una pericolosa concentrazione di potere in capo a pochi soggetti o, peggio ancora, ai loro algoritmi.
Nel suo libro a metà fra il saggio e il memoir, ricco di intriganti retroscena professionali, Panerai osserva che “da noi gli editori impuri sono stati in netta maggioranza. Per non dire la quasi totalità”. E, per quanto riguarda la situazione attuale, cita come una delle rare eccezioni il Fatto Quotidiano, “fondato fra gli altri da un ottimo e indipendente giornalista come Antonio Padellaro” e “gestito da una brava manager come Cinzia Monteverdi”.
È pur vero che in Italia gli editori impuri, pubblici e privati, ci sono sempre stati: industriali, tessili, petrolieri, banche, enti e aziende varie. E purtroppo, dal Piemonte al Veneto e alla Puglia, ci sono ancora. Ma la differenza fra ieri e oggi sta proprio nel contesto politico ed economico che condiziona il sistema dell’informazione ai giorni nostri. Al di là dell’oppressione planetaria degli Ott, sulla crisi dell’editoria in Italia influiscono anche alcuni fattori interni: a cominciare dallo strapotere mediatico e pubblicitario di quello che un tempo si chiamava il duopolio televisivo e che ora rischia di trasformarsi in un nuovo monopolio unificato, con un’ulteriore concentrazione di carta stampata nelle mani di padroni e padroncini interessati a fare affari su altri tavoli. In un mercato così asfittico, è fatale che i giornali stentino a sopravvivere. E che i giornalisti perdano potere, sindacale e contrattuale, nei confronti degli editori. E quindi, che si riducano la loro autonomia e indipendenza. Ma non si tratta di una rivendicazione corporativa. Si tratta, piuttosto, di una grande questione democratica che riguarda tutti i cittadini, lettori e non lettori.