DIRETTIVE AI MILITARI ITALIANI – Circa 8.000 i malati tra i soldati della missione Nato, 400 i morti

(DI ALESSANDRO MANTOVANI – ilfattoquotidiano.it) – Le direttive erano molto chiare e raccomandavano ai militari di rimanere “lontani dai carri armati, dai veicoli e dagli edifici colpiti da missili o missili da crociera con uranio impoverito”. Ordinavano di “indossare una maschera protettiva se si lavora a una distanza di 500 metri”. Chiarivano che “l’inalazione di particelle insolubili di polvere di uranio a lungo termine è associata a conseguenze sulla salute, tra cui il cancro”. Spiegavano che “cibo e acqua diventeranno inutilizzabili a causa della contaminazione” e pertanto era meglio evitare “cibi non controllati”. Precisavano che “solo le persone qualificate devono indagare su veicoli e materiali distrutti e danneggiati”, sempre con “mascherine protettive e guanti protettivi in modo che la polvere di uranio non penetri nel corpo”.

Era il 22 novembre 1999, i soldati Nato della Kfor erano da poco entrati in Kosovo dopo i bombardamenti sulla Serbia in cui furono impiegate 13 tonnellate di proiettili rivestiti con uranio impoverito, di cui proprio ieri cadeva il 24esimo anniversario. E queste erano le direttive, le “dieci regole d’oro” dell’allora tenente colonnello Osvaldo Bizzarri, che comandava un nucleo Nbc (guerra nucleare chimica e batteriologica). Sono finite anche agli atti del processo in corso davanti all’Alta Corte di Belgrado contro la Nato, che però rivendica l’immunità, intentati da civili e militari di un Paese in cui le statistiche mostrano un aumento significativo dei tumori nelle zone più colpite. Non sono affatto un segreto, quelle direttive: lo stesso Bizzarri, pluridecorato ufficiale in pensione dal 2014 con il grado di generale di brigata, le illustrò e le commentò il 6 dicembre 2017 nell’audizione davanti all’ultima commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito, presieduta da Gian Piero Scanu.

Si trovano in Rete video, audio e stenografico: i parlamentari a Bizzarri chiedevano soprattutto come mai le forze armate italiane avessero atteso il 1999 per prendere atto dei rischi messi in luce dai comandi Usa fin dal 1993. Rischi connessi alle micro e nanoparticelle che si disperdono dopo che i proiettili perforanti all’uranio impoverito hanno colpito la corazza dei carri armati a cui sono destinati. Particelle non solo di uranio, come scriveva Bizzarri, ma dei vari metalli coinvolti in quelle esplosioni e in quelle combustioni a temperature fino a 3000 gradi, evidenziate in decine e decine di perizie che sono alla base di oltre 300 sentenze dei giudici italiani, fino alla Cassazione, che riconoscono la causa di servizio, la pensione privilegiata o indennizzi ai militari che si sono ammalati di tumori, soprattutto del sangue, e ai familiari dei deceduti. Vale il criterio probabilistico, che non funziona in sede penale ma in quella civile sì. Anche in assenza di un nesso di causa effetto diretto, che la scienza non ha ancora individuato con certezza come del resto avvenne per decenni per il fumo delle sigarette. La giurisprudenza italiana è particolarmente avanzata, non a caso l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, da tempo impegnato in questi processi, ha collaborato con il collega serbo Srdjan Aleksic, così come la dottoressa Rita Celli. Secondo l’Osservatorio militare di Domenico Leggiero, che ieri ha polemizzato con il generale Leonardo Tricarico che nega la pericolosità dell’uranio, in Italia i militari malati si contano nell’ordine degli 8.000 e i morti hanno superato quota 400.

Il problema dell’uranio impoverito non è la radioattività, piuttosto bassa, ma la tossicità chimica. Per quanto quel materiale non sia vietato e anzi sia difeso a spada tratta dalle maggiori potenze militari occidentali, l’Italia dichiara di non averlo mai usato e il problema è noto a tutti. Perfino l’amministrazione Usa ha accolto con freddezza l’annuncio della vice ministra britannica, baronessa Annabel Goldie, del prossimo invio in Ucraina di carri armati Challenger 2 equipaggiati con munizioni all’uranio impoverito, facendo anche sapere che Washington non li manderà e che nelle corazze dei carri Abrams destinati a Kiev ci sarà il tungsteno, più costoso ma meno tossico. Se li spareranno dall’alto finirà come in Serbia. Proiettili all’uranio, del resto, potrebbero averli già usati i russi. In Iraq, dopo la guerra del 2003, fu necessario bonificare centinaia di siti.