Il blocco guidato da Biden inizia a preoccuparsi per il futuro dell’Ucraina. Certi facili entusiasmi lasciano il posto a un cupo pessimismo. Procediamo con ordine affinché le gravissime responsabilità della classe dirigente italiana siano chiare […]

(di Alessandro Orsini – Il Fatto Quotidiano) – Il blocco guidato da Biden inizia a preoccuparsi per il futuro dell’Ucraina. Certi facili entusiasmi lasciano il posto a un cupo pessimismo. Procediamo con ordine affinché le gravissime responsabilità della classe dirigente italiana siano chiare. Sin dal primo giorno di guerra, dicemmo che la Russia, sovrastante, avrebbe raddoppiato ogni sforzo bellico di Kiev. Meglio mediare subito, ammonimmo, prima che la Russia sprofondi in Donbass e non solo. Ma Biden pretendeva intransigenza e, con l’aiuto di Mario Draghi, saldava Nato e Unione europea in un corpo solo. I media dominanti hanno assecondato la linea estremista di Biden e la narrazione secondo cui la Russia è uno Stato debolissimo con un esercito di cartone. Corriere della SeraRepubblicaLa StampaIl Foglio, LiberoIl GiornaleL’EspressoRadio 24, Enrico Mentana e molti altri irresponsabili hanno fatto a gara a sostenere questa rappresentazione grottesca della realtà.

Davanti a un simile delirio collettivo, abbiamo spiegato che la Russia combatteva con le mani dietro la schiena a Carta Bianca, di cui il Corriere della Sera chiedeva la chiusura per mano delle sue firme più illiberali. Dicevamo: “Per ogni passo avanti, l’Ucraina ne farà due indietro”. E così è stato. Dopo avere colpito il ponte di Crimea (un passo avanti), l’Ucraina è stata devastata dai missili della Russia (due passi indietro). Intere città rase al suolo, il 60% dell’infrastruttura energetica frantumata e “morti dappertutto”, per usare le parole di Zelensky. Dopo la controffensiva di Kharkiv, stessa regolarità: un passo avanti, due indietro. La Russia ha reagito mobilitando 300 mila soldati, nemmeno pienamente operativi, con cui sta sbriciolando la seconda linea difensiva ucraina in Donbass, che ha i propri bastioni a Siversk, Soledar e Bakhmut. Poi è stata la volta di Kherson. La regolarità si è puntualmente riprodotta: Zelensky trionfante nella piazza, giro di lancette, città sbriciolata.

Kherson è una delle pagine più vergognose della storia della manipolazione dell’opinione pubblica in Italia. Rappresentata come una vittoria napoleonica degli ucraini, è stata tutt’altro. Nessuno dimentichi i tweet trionfalistici di Carlo Calenda contro questa rubrica o gli articoli scriteriati di Concita De Gregorio su Repubblica contro Carta Bianca. Ieri, 23 gennaio 2023, La Stampa, che pure ci aveva rivolto attacchi virulenti, ha pubblicato un editoriale per ripetere, per filo e per segno, le cose che diciamo dal 24 febbraio 2022. Sia chiaro: la Russia subirà altre sconfitte, ma è sovrastante rispetto all’Ucraina, e il tempo lavora in suo favore. Massimo Giannini ha impiegato un anno per capirlo (forse). Di certo l’ha capito il cancelliere tedesco che, per ora, rifiuta di consegnare i Leopard 2 a Kiev e invita a soppesare le conseguenze devastanti per l’Ucraina di un’escalation più severa con la Russia. I quotidiani succitati, dopo essersi riempiti la bocca con la parola “scienza” in pandemia, hanno assunto un atteggiamento antiscientifico verso la guerra in Ucraina. I loro discorsi sono stati filtrati da passioni tumultuose. Niente a che vedere con il distacco emotivo richiesto dalla scienza. Siccome odiano Putin e amano Zelensky, hanno distorto la realtà e negato rapporti di forza autoevidenti. Di più: hanno rappresentato gli studiosi, le cui analisi erano in contrasto con le loro passioni smodate, come “criminali”, “putiniani”, “immorali”. Gli studiosi che, in difesa della società libera, hanno lottato contro le propagande di ambo i lati, sono stati bollati come “propagandisti del Cremlino”. Un orrore. Nome tecnico: “Classe dirigente fallita”.