L’ex mafioso che ha sfidato Totò Riina, scegliendo di collaborare con Giovanni Falcone: “Può darsi che abbia voluto farsi prendere, resta un segnale importante. Si entra in una nuova era? Lo scopriremo presto”

(Massimo Arcidiacono – oggi.it) – «La prima cosa che mi viene in mente sono le parole di un grande uomo come Giovanni Falcone: la mafia è un fattore umano, ha avuto un inizio e sicuramente avrà una fine. Speriamo che questo arresto sia l’inizio della fine». Gaspare Mutolo risponde subito al telefono, ha appreso la notizia e si è già fatto un’idea di quanto è successo: la cattura di Matteo Messina Denaro, il boss dei boss, dopo trent’anni di latitanza è un fatto di portata storica che può cambiare gli assetti all’interno dell’organizzazione criminale, ma che segna anche un nuovo vigore nell’azione di contrasto dello Stato.

Matteo Messina Denaro, il video dell’arresto a Palermo

Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo come mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio, con lui si chiude anche la dolorosa stagione della mafia stragista. Tutti i capi di quella Cosa nostra adesso sono morti o in carcere in regime di 41 bis e Mutolo – che era l’autista di Totò Riina – decise di pentirsi, spinto da Falcone, proprio non riconoscendosi più nei metodi di quella mafia “che sparava alle donne, strangolava i bambini”.

Giorgia Meloni ha twittato: «È una grande vittoria dello Stato, che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia». «Chi era al governo trent’anni fa ebbe la volontà di combattere Cosa nostra ma durò poco, l’atteggiamento cambiò presto. Può darsi che adesso il nuovo governo voglia riprendere il discorso interrotto. Lo capiremo presto. Certe decisioni prese negli ultimi anni, certe norme più permissive, erano state un segnale negativo. E non si può non notare, però, che alcuni degli uomini politici che c’erano allora ci sono ancora. Di sicuro, l’arresto di Messina Denaro è una notizia positiva e ha anche un significato politico».

Non la stupisce che venga arrestato a Palermo, dopo una latitanza così lunga, in una clinica dove si va per sottoporsi a cure oncologiche? «Ci sono dei però, appunto. Matteo Messina Denaro è di Trapani, tutto un altro mondo, e chi comanda la mafia è sempre stato a Palermo, sono lì le tradizioni e le usanze. Di sicuro, non gli mancavano le possibilità di curarsi all’estero, anche lì nell’anonimato, se avesse voluto. Può darsi che abbia scelto di farsi prendere. Magari spera in un allentamento delle leggi, magari era troppo malato, magari – come dicevo – si sta entrando in una nuova era e questo governo ha deciso di onorare il lavoro di Falcone e Borsellino: lo scopriremo presto».

Può Cosa nostra favorire un avvicendamento? E chi potrebbe prenderne il posto? I sostituti si trovano sempre, non è che manchino mafiosi. Ciò che è importante non è l’arresto in sé, ma ciò che verrà dopo. È stato rotto un equilibrio. Non ho più rapporti con quell’ambiente, ma in base alle vecchie usanze potrebbe toccare a Settimo Mineo. Io l’ho conosciuto, aveva una gioielleria in centro a Palermo, stimato da Riina, tanti anni fa scampò a un agguato in cui morì il fratello. Adesso è molto anziano. Di certo, i veri capi, i coordinatori, sono sempre stati di Palermo, anche all’estero per tradizione i capi erano palermitani. Messina Denaro è stato un’anomalia».

C’è un motivo, secondo lei, per cui ad arrestarlo siano stati i Ros dei carabinieri e non un altro corpo investigativo? «Ipotizzo. I Ros hanno una tradizione nel tenere i rapporti con i confidenti: abitudini antiche, anche ad alto livello e qualche parola ci scappa sempre».