Il processo di fissione (scissione) dell’atomo di elementi pesanti usato con le prime bombe atomiche è stato quasi immediatamente sfruttato per uso civile con le centrali per la produzione elettrica. Lo sfruttamento civile del processo successivo, quello di fusione […]

(DI FABIO MINI – Il Fatto Quotidiano) – Il processo di fissione (scissione) dell’atomo di elementi pesanti usato con le prime bombe atomiche è stato quasi immediatamente sfruttato per uso civile con le centrali per la produzione elettrica. Lo sfruttamento civile del processo successivo, quello di fusione degli atomi di elementi leggeri come gli isotopi dell’idrogeno, che ha elevato la potenza delle esplosioni termonucleari, è da tempo avviato.

L’annuncio del dipartimento dell’Energia statunitense su un primo esperimento di fusione in laboratorio che ha dato più energia di quanta ne abbia consumata è senz’altro una svolta positiva. Avrebbe dovuto essere annunciato dal presidente Biden, ma forse quando gli hanno riferito i particolari e i tempi di realizzazione del progetto di energia pulita a volontà ha lasciato il podio ai suoi funzionari. In verità questi hanno parlato più di benefici ambientali, di posti di lavoro e investimenti che di tempi. Si sono limitati a premettere che la strada è ancora lunga e che ci vorranno ancora trent’anni perché si abbia qualche ritorno pratico.

La stessa cautela è stata dimostrata dal progetto multinazionale Iter che sta lavorando allo stesso scopo, con risultati promettenti, ma evidentemente con meno attenzione mediatica. Iter è un consorzio internazionale operativo dal 2006, a cui partecipano sette partner: Cina, Corea del Sud, Euratom (di cui fa parte anche l’Italia, le cui attività sono condotte dall’Enea, che ha la funzione di coordinatore, dal Cnr e da molte Università italiane), Giappone, India, Russia e Stati Uniti. Iter sta costruendo la macchina per la fusione più grande al mondo in grado di produrre un guadagno di energia di 10 volte. Nel 2007 sono iniziati a Cadarache, nel sud della Francia, i lavori per la costruzione del tokamak europeo (camera toroidale magnetica a superconduzione) per la conservazione di plasma (gas a temperatura altissima) necessario a fornire energia termica poi trasformabile in energia elettrica. La produzione dei componenti dell’immenso impianto è stata completata nel 2020 e Iter ne ha iniziato l’assemblaggio che durerà fino al 2025. Nel frattempo, Ue, Italia e Giappone hanno realizzato il reattore a fusione JT-60SA, situato a Naka, in Giappone, capace di produrre plasmi a impulsi di lunga durata. È il tokamak più grande in funzione e sosterrà l’utilizzo di Iter (che dovrebbe iniziare nel 2025) e contribuirà alla progettazione di Demo, il reattore a fusione di prossima generazione dell’Ue. Il progetto è multimiliardario e a lungo termine, dal 2008 al 2019 i soli contributi europei ammontavano a circa 5,6 miliardi di dollari.

L’annuncio statunitense, oltre al lato scientifico, è importante per quello geopolitico ed economico. Si prevede una spesa di 500 miliardi in un momento in cui gli Stati Uniti stanno attraendo investimenti esteri per abbattere l’inflazione interna, ma soprattutto per abbattere le economie concorrenti. Il consorzio Iter è composto da tre economie concorrenti (Unione europea, Giappone, Corea del Sud) e da tre economie nemiche (Russia, Cina e India). In particolare queste ultime rivolte a ostacolare i piani statunitensi in Ucraina. Non si sa quale effetto pratico produrrà l’annuncio della fusione sul progetto Iter, se dovesse essere anemizzato finanziariamente e tecnologicamente sarebbe un vero disastro. Di certo, molti altri flussi di investimenti e delocalizzazioni di imprese europee saranno dirottati sugli Stati Uniti anche in questo campo. Altro effetto della guerra, collaterale e indesiderato. Da noi.