(Marco Bonarrigo e Milena Gabanelli – corriere.it) – Se la giustizia ordinaria avesse così tanto personale e così poco lavoro come quella sportiva, i processi penali e civili in Italia sarebbero velocissimi. Le 45 federazioni dispongono di ben 248 procuratori e sostituti (equivalenti ai pubblici ministeri), 287 giudici di primo grado, 329 d’appello, e di 113 «magistrati» di garanzia, a cui vanno aggiunti gli 89 applicati tra Procura Generale del Coni e Collegio di Garanzia. Tutto questo per gestire gli appena 1.534 fascicoli l’anno (dati 2021) che vengono chiusi con archiviazioni in istruttoria (nel 41% dei casi), ammonizioni e condanne.

Gli incarichi federali sono un secondo lavoro per oltre mille tra avvocati (con minimo 5 anni di iscrizione all’albo), professori di materie giuridiche, magistrati e avvocati dello Stato. I compensi sono modesti: da 100 a 250 euro a fascicolo o a udienza. Lo status di procuratore o giudice federale permette però ai professionisti più ambiziosi di procacciarsi incarichi più redditizi: consulente legale, difensore in giudizio, gestore dei procedimenti elettorali, commissario ad acta.

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L’asso pigliatutto

Principe incontrastato del settore è il salernitano Pierluigi Matera. Nel suo sterminato curriculum (è professore di Diritto Privato e titolare di uno studio legale romano), Matera spiega di essere stato vicecommissario della Federazione Hockey, viceprocuratore generale del Coni, commissario ad acta di «oltre 35 Federazioni», presidente di «oltre 25 Assemblee elettive federali». E ancora «componente dei gruppi di lavoro sulla Giustizia Sportiva del Coni e di quello per gli Statuti e Regolamenti federali, sul Professionismo sportivo e della Commissione consultiva per la riforma della Giustizia Sportiva». A lui la Federginnastica ha appena affidato la guida del nuovo Safeguarding Officer dopo le recenti denunce di maltrattamenti delle atlete. Come tanti colleghi, Matera è socio dell’esclusivo Circolo Canottieri Aniene di Giovanni Malagò.

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Cosa fanno i giudici sportivi

I giudici federali (da non confondere con quelli sportivi, che si occupano di fatti di gioco) indagano e valutano sulla regolarità dei tesseramenti e delle affiliazioni, sui comportamenti dei tesserati, su abusi, molestie, violenze, combine sportive e irregolarità in modo indipendente dalla giustizia penale. Le loro sentenze vanno dall’ammonizione alla (rarissima) radiazione. La materia è delicata: una sentenza può sconvolgere la carriera di un’atleta, di un dirigente o di una società o destabilizzare una federazione. Vuol dire che non puoi permetterti di affidare incarichi con superficialità. Nessuno si era accorto che il procuratore degli arbitri del calcio di Serie A Rosario D’Onofrio quando è stato nominato era agli arresti domiciliari. Si è scoperto il giorno in cui è stato trasferito in carcere per un’altra inchiesta sul traffico di stupefacenti. Sui temi dell’inchiesta penale che sta travolgendo la Juventus, la Corte di Appello della Figc (forte di 219 tra procuratori e magistrati) a maggio ha prosciolto decine di dirigenti, compreso il presidente Agnelli, a dispetto di «numerose criticità» per «l’assenza di parametri di giudizio».

Il vigilato nomina chi lo vigila

La fragilità della giustizia sportiva italiana è la dipendenza assoluta dal potere politico: procuratori e giudici li sceglie (a suo piacimento) il presidente federale appena viene eletto, ma assieme al Consiglio è anche la prima persona su cui il procuratore dovrebbe vigilare considerata l’ampiezza del suo potere. La prassi dimostra che in molte federazioni tutto fila liscio finché i procuratori processano un dirigente che trucca il tesseramento di un atleta o insulta un giudice di gara su Facebook. Quando indagano sul potere politico invece le cose si complicano. Tre anni fa Salvatore Scarfone, procuratore della tormentata Federazione Danza Sportiva (quattro commissariamenti e una radiazione presidenziale in vent’anni), raccolse decine di denunce contro i suoi vertici politici (poi indagati anche penalmente) che deferì al tribunale interno. Come ricompensa, trovò cambiata la serratura del suo ufficio e mandato a casa.

Vita dura per il procuratore puntiglioso

Un caso recentissimo è quello della Federazione Rugby dove, lo scorso 14 maggio, il Consiglio Federale ha designato nella Commissione Federale di Garanzia (l’organo di controllo dei magistrati sportivi) una dipendente Sport e Salute priva dei requisiti di cassazionista previsti per quel ruolo dall’ordinamento sportivo del Coni. Il procuratore Roberto Pellegrini se ne accorse e si accorse che il Consiglio aveva modificato il regolamento di giustizia introducendo (unica federazione su 45) il requisito ad personam di «avvocato che ricopre la direzione affari legali di società o soggetti istituzionali rilevanti nell’ordinamento sportivo». Insomma, una dirigente di alto rango di una società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze (dove si occupava di contrattualistica) cooptata in un organo di giustizia superiore della federazione grazie a una modifica statutaria mirata e non consentita dal Coni. Perché il Consiglio Federale ha ignorato le segnalazioni dell’ufficio legale interno che aveva evidenziato il problema il 10 giugno, spiegando che la designata non aveva risposto alla richiesta di esibire i suoi titoli di studio? Il procuratore Pellegrini (dopo una scrupolosa indagine con dieci audizioni) il 7 ottobre ha rinviato a giudizio, presso il tribunale interno il presidente Marzio Innocenti, dieci consiglieri federali e il segretario Musiani per violazioni multiple del Codice di Giustizia e del Codice Etico. Risultato? Al procuratore, già in scadenza di mandato, sono state tolte all’istante le password del sistema di giustizia interno mentre chi l’ha sostituito ha prontamente chiesto l’archiviazione del procedimento. Insomma, l’articolo 25 della Costituzione («Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge») nella giustizia sportiva non è scontato. Sulla vicenda il Coni non ha aperto bocca.

Ginnastica: gli abusi archiviati

Anche quando non si indaga su fatti che riguardano i vertici, ma su vicende che comunque colpiscono il buon nome della federazione, molti procuratori ci vanno con i piedi di piombo. È il caso drammatico della ginnastica dove da un mese atlete ed ex atlete della ritmica raccontano situazioni di abusi verbali, violenze e body shaming. Analizzando l’archivio delle sentenze federali (mantenute solo pochi mesi sul sito web, invocando la difesa della privacy) si scopre che molte denunce sono state archiviate e la maggior parte delle altre sanzionate con pene non superiori a tre mesi. In alcune situazioni è stato poi adottato l’istituto del <patteggiamento senza colpa>. È il caso di una bambina veneta di 9 anni, schiaffeggiata dalla sua allenatrice per aver sbagliato un esercizio alla trave. Dopo la denuncia dei genitori (che avevano citato altre due ragazzine destinatarie dello stesso trattamento e pronte a testimoniare) il procuratore ha chiuso il caso, senza sentire i testimoni, patteggiando un mese e la non menzione per l’allenatrice. Il Codice di Giustizia interna consente di patteggiare se i «danni fisici cagionati» non sono «gravi» ovvero con prognosi superiore a 40 giorni. Per essere condannati bisogna fare davvero male. Il patteggiamento va approvato dal presidente federale e dalla Procura Generale del Coni: nel caso della ginnastica entrambi l’hanno fatto prontamente. Nel rispetto dei genitori ma anche a tutela dell’allenatrice, il processo andava almeno celebrato. E magari in pubblico, cosa espressamente prevista dal Codice del Coni almeno per la stampa; peccato che la maggior parte dei giudici sportivi rifiuti sistematicamente l’accesso in aula ai cronisti. La giustizia sportiva è sempre e solo a porte chiuse. Non esistono registri delle sanzioni a livello centrale: una società dell’atletica rischia così di ingaggiare senza saperlo un tecnico squalificato per molestie nel volley.

La giustizia sportiva deve stare fuori dallo sport

Per sottrarre la giustizia sportiva al potere dei presidenti, nel 2014 il presidente del Coni Malagò introduce l’istituto dell’avocazione, rappresentato da due organi superiori: Procura Generale e Collegio di Garanzia. Se un procuratore federale non è abbastanza solerte o incisivo, quello del Coni (sulla cui scrivania passano tutti i fascicoli aperti) può sostituirlo nel ruolo di pubblico ministero sia nei processi federali che in quelli davanti al Collegio di Garanzia per ottenere giustizia. L’avocazione, però, non è mai stata utilizzata, e quelle rare volte riguarda ragioni tecniche e in sport minori. Il primo procuratore nominato fu Enrico Cataldi, ex generale dell’Arma dei Carabinieri e comandante del Racis, che si dedicò all’incarico senza guardare in faccia a nessuno: venne rapidamente accompagnato all’uscita. L’unica soluzione efficace è quella adottata in molte nazioni straniere: la giustizia sportiva va amministrata da chi non ha alcuna relazione con il potere sportivo.

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