Il “non siamo marziani” detto dalla premier italiana a Ursula von der Leyen segue di qualche giorno quel “non siamo mostri” rivolto da Giorgia Meloni ai “patrioti” spagnoli di Vox. In realtà, diretto alle istituzioni europee e non che s’interrogavano sulle conseguenze che sarebbero scaturite […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Il “non siamo marziani” detto dalla premier italiana a Ursula von der Leyen segue di qualche giorno quel “non siamo mostri” rivolto da Giorgia Meloni ai “patrioti” spagnoli di Vox. In realtà, diretto alle istituzioni europee e non che s’interrogavano sulle conseguenze che sarebbero scaturite dal governo della destra in Italia. L’uso in entrambi i casi dell’avverbio di negazione richiama alla mente i celeberrimi versi di Eugenio Montale: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Ossi di seppia). Del resto, il non siamo e il non vogliamo meloniano hanno trovato sottile applicazione anche nella polemica più scivolosa per la leader di FdI. Quella sul ripudio del fascismo da parte di un partito che conserva, insieme alle radici di quella nostalgia canaglia, nel simbolo la fiamma tricolore missina. “Quando lo disse Gianfranco Fini non mi dissociai” (a proposito della frase sulle leggi razziali “male assoluto del XX secolo” scagliata dal leader di An). Oppure: “Non ho mai provato vicinanza o simpatia per il fascismo” (discorso sulla fiducia davanti alle Camere).

Che una donna di destra a Palazzo Chigi, alle prese con una esperienza politica senza precedenti nella storia repubblicana, e con responsabilità gigantesche, arrotondi gli spigoli del discorso pubblico con l’uso retorico della negazione per non sporgersi troppo nelle affermazioni, può essere comprensibile. Basta leggere il primo verso della citata poesia di Montale: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”. E se anche il (la) presidente del Consiglio potrà continuare a giovarsi di questa accorta indeterminatezza verbale nelle relazioni internazionali, perché così fan tutti, resta tuttavia in sospeso una domanda che riguarda la figura stessa di Giorgia Meloni. Ovvero: fino a che punto la sua identità politica come premier può restare la stessa della leader di partito che ha costruito la sua fortuna elettorale intorno a un profilo fortemente identitario? Molto infatti si è scritto sull’’“equilibrismo” della Meloni che, mentre in patria promuove provvedimenti di stampo liberticida e no-vax (scalando le vette della fiducia personale con il 40,6% di gradimento), per farsi accettare in Europa (e garantirsi i soldi del Pnrr) deve mettere le mani avanti negando la propria natura aliena. Come sempre, le daranno retta finché gli interessi di Roma non confliggeranno con quelli di Bruxelles. E dipenderà, soprattutto, dai sì che sarà disposta a concedere, oppure dai no (Montale: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti”).