(DI GIORGIA MELONI * – Il Fatto Quotidiano) – In un bidone della spazzatura posizionato fra Palazzo Chigi e Montecitorio è stato rinvenuto questo breve discorso che il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva preparato in occasione del centesimo anniversario della marcia su Roma, ma che qualcuno deve averle consigliato di cestinare.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho scelto di commemorare insieme a voi in quest’aula che nel 1922 Benito Mussolini definì “sorda e grigia”, e che io considero invece il tempio della democrazia, una pagina oscura della storia d’Italia: la marcia su Roma di cui il 28 ottobre ricorre il centesimo anniversario. Sento il bisogno di farlo non solo per il richiamo pervenutoci dalla senatrice Liliana Segre, ma perché troppi avversari politici, in Italia e all’estero, hanno accostato pretestuosamente quella data funesta all’insediamento del governo di destra che ho l’onore di presiedere.

Affinché la coincidenza temporale non offra pretesti a strumentalizzazioni, ritengo doveroso esprimere un giudizio storico su tale ricorrenza. Se Mussolini, infatti, dopo aver guidato le colonne delle camicie nere fin sotto al Quirinale, e dopo aver ricevuto da re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare un nuovo governo, giunse a minacciare la trasformazione di questo emiciclo in “bivacco di manipoli”, è oggi di segno diametralmente opposto il ritorno della destra alla guida della Nazione: all’epoca il Partito nazionale fascista contava in Parlamento solo 35 deputati; oggi la destra democratica vi è maggioranza grazie a libere elezioni.

Non sarei sincera se omettessi che nel 1992, l’anno stesso in cui ho preso la mia prima tessera del Movimento sociale italiano, il nostro partito celebrava ancora la marcia su Roma. Il segretario dell’epoca, Gianfranco Fini, festeggiò la ricorrenza a cena con Vittorio Mussolini e donna Assunta Almirante dopo aver dichiarato che “il grande merito del fascismo è stato quello di aver dato al nostro popolo la consapevolezza di essere una nazione”. Né potrei io stessa negare di aver provato, in gioventù, ammirazione per quel dittatore, Benito Mussolini, impossessatosi del potere dopo aver teorizzato la necessità di un’azione violenta. Cito le sue inaccettabili parole: “Non seguiremo la stoltezza dello Stato liberale che dà libertà a tutti, anche a coloro che se ne servono per abbatterlo”. Trent’anni fa, il Msi giustificava la marcia su Roma sostenendo che solo gli eventi successivi al 1922 costrinsero il fascismo a sopprimere le libertà democratiche, trasformandosi in regime. Ci facevamo scudo degli esponenti liberali, come Luigi Einaudi e Luigi Albertini, che avevano approvato quel colpo di mano, considerandolo necessario a ristabilire l’ordine pubblico dopo tre anni di aspri conflitti sociali. Essi riconobbero ben presto l’errore. Aveva ragione Giovanni Amendola che denunciò subito come la marcia su Roma mirasse all’instaurazione di un “sistema totalitario”. Nel 1994, quando il nostro partito entrò per la prima volta a far parte di un governo repubblicano, fu avviato tra noi un percorso di ripensamento critico che portò lo stesso Gianfranco Fini a definire il fascismo “male assoluto”. Affermazione che suscitò varie critiche nelle nostre file, accuse di tradimento, persistenti manifestazioni nostalgiche. Oggi io credo che quel percorso autocritico debba essere portato a compimento senza reticenze. Mi impegno a promuovere, in Fratelli d’Italia e nelle fondazioni culturali della destra, una vasta riflessione storiografica finalizzata a riconoscere la marcia su Roma per quello che è stata: l’avvio di una lunga stagione di lutti e tragedie, di cui il fascismo è stato responsabile. Noi che nel dopoguerra ne siamo stati gli eredi, professando l’alternativa di sistema, e che oggi dobbiamo alla Costituzione nata dalla Resistenza antifascista se torniamo al governo della Nazione, riconosciamo infine questa verità storica suggellata nel 1946 con l’istituzione della festa nazionale del 25 aprile. Postdatare le colpe del fascismo per attribuirne la responsabilità all’alleanza con la Germania di Hitler sarebbe solo una comoda mistificazione: quando il nazismo andò al potere, Mussolini già da molti anni aveva trasformato lo Stato italiano in una violenta dittatura.

Tanto vi dovevo, onorevoli colleghi. Il nostro Parlamento, che nel 1922 subì l’onta della marcia su Roma, non può smettere di esprimere riconoscenza ai molti caduti per riscattare l’onore dell’Italia combattendo al fianco degli eserciti alleati. Dobbiamo loro la nostra democrazia, è anche grazie a loro se oggi io sono qui. Non corriamo alcun pericolo di ritorno al tempo buio del fascismo. Del resto, avete mai visto nella storia un dittatore donna? Quante donne hanno partecipato alla marcia su Roma?

* Testo apocrifo a cura di Gad Lerner