Il lancio dell’arma nucleare richiede tre condizioni fondamentali, che Putin sta ponendo lentamente, ma costantemente. La prima condizione è militare e consiste nel trasferimento delle armi nucleari tattiche al confine con l’Ucraina. Putin non può consentire che quegli ordigni spaventosi […]

(di Alessandro Orsini – Il Fatto Quotidiano) – Il lancio dell’arma nucleare richiede tre condizioni fondamentali, che Putin sta ponendo lentamente, ma costantemente. La prima condizione è militare e consiste nel trasferimento delle armi nucleari tattiche al confine con l’Ucraina. Putin non può consentire che quegli ordigni spaventosi volteggino sulla testa dei russi; deve lanciarli sugli ucraini senza ingombrare il cielo patrio. A quanto pare, questa prima condizione è stata posta nei giorni scorsi. Sembra che Putin, con la scusa degli esperimenti nucleari, abbia terminato il “trasloco” delle sue armi più letali. La seconda condizione è giuridica e richiede l’annessione di una serie di regioni ucraine alla Russia. La dottrina difensiva russa, infatti, consente l’uso dell’atomica soltanto in caso di attacco al territorio nazionale. Con un referendum farsesco nelle sue modalità, Putin ha trasformato il Donbass, Zaporizhzhia e Kherson, in suolo patrio. La terza condizione, che riguarda la psicologia collettiva, è in costruzione. Putin deve creare un ampio consenso emozionale intorno all’uso dell’atomica. Bush agì nello stesso modo quando si preparava a invadere l’Iraq nel 2003. Per mobilitare le emozioni degli occidentali in favore di quella guerra illegale, inventò due prove false. La prima assicurava che Saddam avesse un’intesa segreta con al Qaeda, mentre la seconda assicurava l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq (la famigerata “provetta” agitata da Colin Powell al consiglio di Sicurezza dell’Onu). Posto in una condizione disperata dalla Nato, Putin ha lasciato intendere che userebbe l’arma nucleare, ma è consapevole che non tutti i russi approverebbero una mossa di tale enormità. In questa prospettiva, gli attentati terroristici dei servizi segreti di Zelensky contro il territorio russo, incluso l’attacco al ponte di Crimea e l’uccisione della figlia di Dugin, svolgono una funzione utile al lavoro preparatorio di Putin. Questi attacchi fomentano il nazionalismo russo moltiplicando il numero di coloro che invocano l’uso dell’atomica contro l’Ucraina. Biden lo sa bene ed è anche per questo motivo che ha ammonito Zelensky a non colpire il territorio russo senza consultarsi con la Casa Bianca.

La situazione precipita e non esiste leader mondiale che non parli del rischio di una escalation nucleare. Davanti a un simile scenario, la Commissione europea non appare all’altezza della sfida. In primo luogo, Bruxelles ha dimostrato di non essere in grado di proteggere la sicurezza degli europei e la loro economia. Si aggiunga che i commissari europei, ridotti a oggetto d’uso della Nato, non avanzano alcuna proposta per la soluzione del conflitto o un cessate il fuoco. Bruxelles ripete che l’unico modo di fronteggiare la Russia è militare. Ove l’Ucraina precipiti nell’incubo nucleare, Ursula von der Leyen non potrebbe non essere considerata moralmente e politicamente corresponsabile di una simile tragedia giacché l’arma nucleare non arriverebbe come un fulmine a ciel sereno, cioè come un gesto imprevisto e imprevedibile di Putin, bensì come la conseguenza di una escalation logicamente prevedibile e razionalmente calcolabile. Anche Biden teme lo scontro nucleare: essendo il capo del blocco occidentale, milioni di europei gli chiederebbero come abbia potuto gestire la crisi così male. L’ondata di disprezzo popolare investirebbe non soltanto Putin, il primo a meritarla, ma anche Biden e von der Leyen. Tutti loro verrebbero portati davanti al tribunale della storia al grido di: “Come siete potuti arrivare a tanto?”. E a Draghi il popolo direbbe: “Avevi assicurato che le armi pesanti avrebbero costretto Putin alla pace e adesso abbiamo l’apocalisse nucleare”.