Fermare la guerra. Dopo otto mesi e il rischio nucleare, chi invoca negoziati continua a essere bollato come putiniano. Calenda ora vuole il corteo dei filo-americani. L’effetto è immediato: un discrimine più artefatto che reale attorno al tema pace. Perché che le bombe russe su Kiev siano un crimine […]

(DI SALVATORE CANNAVÒ – Il Fatto Quotidiano) – L’effetto è immediato: un discrimine più artefatto che reale attorno al tema pace. Perché che le bombe russe su Kiev siano un crimine è sotto gli occhi di tutti, ma solo alcuni vogliono leggerci la prova che non è così semplice proporsi di fermare il conflitto ribadendo con il petto in fuori la solidarietà all’Ucraina e la fede assoluta nel riarmo chiesto di nuovo ieri da Volodymir Zelensky. Le cose sono più difficili. Ed è quanto ha cercato di dire finora un fronte pacifista composito, che parte da Papa Francesco e arriva giù fino a forze politiche di sinistra e progressiste, ma che viene costantemente dipinto come filo-putiniano.

L’ennesima provocazione di Carlo Calenda nasce in questo spazio. Al “fiorire da Conte a De Luca, di manifestazioni per la resa degli ucraini – scrive su Twitter – opporremo una grande iniziativa per il sostegno all’Ucraina. Invitiamo tutti i partiti ad organizzarla insieme a partire dal Pd e da Più Europa”.

L’iniziativa serve soprattutto a mettere in difficoltà il Pd e a rendere impossibili interlocuzioni con Giuseppe Conte la cui proposta di manifestazione è definita “immorale”. E spaccare il Pd non è complicato. Ieri, ad esempio, da un lato l’attuale ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha ribadito la linea fin qui seguita dal governo Draghi e condivisa dalla leader di Fratelli d’Italia. Allo stesso tempo Graziano Delrio, voce cattolica dei dem, dice che “una violenza indiscriminata sta colpendo l’Ucraina. Muoiono civili, bambini. È già tardi ma chiediamo a gran voce un’azione degli organismi internazionali per il cessate il fuoco e l’apertura di un negoziato”.

Lo scarto è evidente, ma anche la sobria posizione di Delrio scatena messaggi di sdegno o di sarcasmo come quello che gli riserva, via Twitter, il vicedirettore del Corriere della SeraAntonio Polito:“Questa ‘violenza indiscriminata’ ha un nome e un cognome? O è un fenomeno atmosferico?”. Come a dire, lo vedi che state con Putin? Le posizioni di questo tipo si sprecano fino a produrre perle come quella del direttore de LinkiestaChristian Rocca, fervente terzopolista, che definisce “terrorista” l’intero popolo russo. Ma è l’effetto sulla politica che fa capire l’aria che tira, visto che anche Pier Ferdinando Casini in genere parco di dichiarazioni a effetto, mette in guardia dall’organizzare una manifestazione che non sia chiara nelle parole d’ordine.

Pace, quindi, sulla scia tracciata dal presidente Sergio Mattarella secondo cui “la pace è urgente e necessaria, la via per costruirla passa da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.

Più nette le parole pronunciate di nuovo ieri da Papa Francesco che invece chiede alla diplomazia internazionale uno sforzo, “un’azione immediata per la pace”.

E il mondo cattolico sembra avvertire più di tutti la drammaticità della situazione, il rischio nucleare, l’escalation di fatto che si realizza a ogni offensiva e controffensiva. Nei suoi rappresentanti più autorevoli si sente dire però che questo rende “più urgente” una iniziativa di pace. Il giornale dei vescovi, l’Avvenire, si sta occupando di questo praticamente ogni giorno. Domenica scorsa con una intervista al fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, che insiste sulla “necessità di riaprire il dialogo”.

Il discorso dei cattolici viene generalmente ridicolizzato o, peggio, spacciato per intelligenza con il nemico contrapponendogli le parole della premier finlandese Sanna Marin secondo cui la guerra finisce quando Putin si ritira. Come se bastasse ordinarglielo. E invece serve, dice Riccardi, “una mappa concettuale con cui affrontare questi problemi. Bisogna ridare un ruolo alla politica internazionale”. E quindi “una grande manifestazione popolare apartitica, che rappresenti il sentire della gente”.

Di manifestazione si discute tra le associazioni. Le date non sono state ancora fissate, ma ci sono appuntamenti che intanto si definiscono. La Rete Pace e Disarmo conferma le iniziative territoriali del 21-23 ottobre e il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, incurante delle frizioni interne al suo partito, conferma insieme al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, una manifestazione per la pace a Napoli il 28 ottobre: “Il cessate il fuoco significa congelare la situazione ed avviare concretamente un’iniziativa”.

Una manifestazione già fissata è però quella organizzata dalle realtà sociali e sindacali “Non per noi ma per tutte e tutti”. Si svolgerà a Roma, il 5 novembre in Piazza Vittorio. Le realtà che hanno sottoscritto l’appello sono circa 500, tra di esse la Rete dei Numeri pari, Libera, il Forum Diseguaglianze e Diversità, la Fiom, l’Unione inquilini, l’Associazione Salviamo la Costituzione.

“Eravamo già pronti a scendere in piazza contro l’agenda Draghi”, spiega al Fatto Giuseppe De Marzo di Numeri pari, perché la crisi “colpisce soprattutto le fasce più povere: i numeri su povertà, dispersione scolastica, disoccupazione e povertà abitativa sono chiari”. “Andiamo in piazza per chiedere il reddito di cittadinanza, migliorandolo sulla base delle proposte Saraceno, il salario minimo, il diritto all’abitare, contro la secessione dei ricchi, contro le mafie”. E contro la guerra “che è l’abominio più grande” aggiunge De Marzo: “Non possiamo permetterci una guerra nucleare”.

Alla conferenza stampa tenuta ieri presso la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, è intervenuto don Ciotti, presidente di Libera secondo cui “nemici della pace sono le disuguaglianze, le ingiustizie, la privazione della libertà e una politica assente o quantomeno latitante”. Andrea Morniroli, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità secondo cui “occorre istituire un salario minimo”;

Gaetano Azzariti, presidente di Salviamo la Costituzione, che riferendosi al nuovo governo, assicura che “saremo il carburante che muove la carta costituzionale e la difenderemo”. Presente anche il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, secondo cui “la situazione di crisi economica, l’aumento dell’inflazione e la guerra in corso rischiano di provocare danni irreparabili nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori. “Nessuno si salva da solo, abbiamo bisogno di costruire alleanze larghe e per questo saremo in piazza il prossimo 5 novembre a Roma ma anche il 21, 22, 23 ottobre con la Rete pace e disarmo in tante città e proseguiremo con la Cgil il percorso di mobilitazione per rimettere al centro il lavoro e la pace”.