I tempi del congresso? Non sono chiari. Le candidature? Tutte in fieri. Le tentazioni di scioglimento? Da incanalare. Il vero ruolo di Enrico Letta? Da definire. Oggi c’è la prima direzione del Pd dopo la sconfitta elettorale, ma appare estremamente difficile che i dem […]

(DI WANDA MARRA – ilfattoquotidiano.it) – I tempi del congresso? Non sono chiari. Le candidature? Tutte in fieri. Le tentazioni di scioglimento? Da incanalare. Il vero ruolo di Enrico Letta? Da definire. Oggi c’è la prima direzione del Pd dopo la sconfitta elettorale, ma appare estremamente difficile che i dem – avvoltolati in una costante autoanalisi – riescano a giungere a qualche conclusione. Letta aprirà la riunione ribadendo più o meno quanto scritto nella lettera di venerdì. Ovvero darà il via al congresso costituente in quattro fasi da concludersi con le primarie per l’elezione del nuovo leader. Ma proprio i gazebo potrebbero essere rimessi in discussione.

Ieri dal Nazareno facevano trapelare che “serve un tempo congruo, ma non si può arrivare alle calende greche”. E dunque, “l’obiettivo è chiudere a febbraio/marzo 2023”. Ergo, sul punto il segretario ha già ceduto: avrebbe voluto accelerare il percorso, chiuderlo entro gennaio. Ma il gruppo dirigente, soprattutto quello che guarda a sinistra e a Giuseppe Conte (da Andrea Orlando a Peppe Provenzano passando per Nicola Zingaretti), lo sta pressando per dilatare i tempi il più possibile. Mettendo sul tavolo il voto per la Regione Lazio. Ma la realtà è anche che si teme la vittoria di Stefano Bonaccini, soprattutto in mancanza di una candidatura forte da opporre. Lui oggi ci sarà e chiederà tempi del congresso rapidi, no allo scioglimento o al cambio di nome, rigenerazione dell’identità del partito e rinnovamento classi dirigenti con più spazio ai territori. Elly Schlein sta ancora a vedere. Anche perché nessuno dei big dem la vuole. Tanto è vero che lei non ha per ora alcuna intenzione di iscriversi al Pd: se la fanno partecipare comunque, bene. Altrimenti nella “fase costituente” non porterà alcuno dei suoi. Anche Articolo 1 vive lo stesso dilemma: deve entrare nel Pd? E a quali condizioni? Senza contare che l’intervista di Massimo D’Alema, che tracciava la rotta, indicando il M5S come punto centrale ha avuto l’effetto di dividere quel mondo, tra chi vuole sostenere il percorso indicato da Letta e chi invece dissente.

Comunque vada oggi, non ci sarà l’avvio ufficiale del percorso. Servirà almeno un’altra direzione, tra un paio di settimane. Quel che è certo è che oggi le donne dem, capeggiate da Alessia Morani, Patrizia Prestipino e Monica Cirinnà, presenteranno un ordine del giorno, da mettere ai voti, nel quale chiederanno che – vista la poca rappresentanza eletta in Parlamento – i posti disponibili vadano a una donna. Ovvero, i due capigruppo e le due vicepresidenze delle Camere. Questo porterà con ogni probabilità alla conferma di Debora Serracchiani e Simona Malpezzi (presidenti dei gruppi dem di Montecitorio e Palazzo Madama) e di Anna Rossomando (vicepresidente del Senato). Volendo, un altro modo per congelare la situazione. Si aspetta poi una serie di interventi critici. Anche se è difficile immaginare un vero processo al segretario. La dinamica è troppo poco chiara per esporsi troppo. Ci sarà comunque, Bonaccini.

Nel frattempo, ieri, si sono esposti con interviste sui vari giornali, tre padri nobili. Tutti di provenienza Ds. Su posizioni diverse. Se D’Alema guarda a Conte, Pier Luigi Bersani ci tiene a salvare Letta, mentre Walter Veltroni, nel suo stile, si augura che il risultato delle elezioni serva per una “riprogettazione dell’identità della sinistra”. Letta, comunque, nella relazione di oggi (che verrà messa ai voti), oltre all’analisi delle elezioni, insisterà anche sul fatto che il caos del centrodestra “è solo il preludio delle divisioni che scandiranno la vita del governo Meloni”. Come in campagna elettorale, butta la palla nel campo avversario.