Se, prima di perdere le elezioni il Pd di Enrico Letta avesse cercato di ricomporre, sul serio, quella rottura del rapporto sentimentale dei cari leader della sinistra con i loro elettori (di cui parlò Massimo D’Alema, non certo un romanticone) avrebbe dovuto riflettere […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Se, prima di perdere le elezioni il Pd di Enrico Letta avesse cercato di ricomporre, sul serio, quella rottura del rapporto sentimentale dei cari leader della sinistra con i loro elettori (di cui parlò Massimo D’Alema, non certo un romanticone) avrebbe dovuto riflettere sul successo del libro: Io sono Giorgia. Centomila copie, cinque edizioni, a lungo in vetta nelle classifiche già nel maggio 2021 quelle 244 pagine sembravano comporre l’autobiografia di una predestinata. Non per il valore letterario (su cui non ci addentriamo) ma per il calore umano che ne scaturiva. Una temperatura molto diversa, per capirci, rispetto a quella tutta ragionamento politico trasmessa da L’anima e il cacciavite, editato nello stesso periodo ma a bassa gradazione emotiva. Due libri che rappresentano due modelli quasi contrapposti nella comunicazione politica, e dunque elettorale. Meloni: io sono una donna, una madre, una figlia che ha vissuto e vive i problemi, i guai, le fatiche, le attese di milioni di donne, di madri e di figlie come voi (sono cristiana invece è un optional che si può aggiungere al pacchetto, a richiesta). Letta: io sono un uomo di governo, un intellettuale e sono ritornato alla politica attiva perché ciascuno di noi ha il dovere di impegnarsi a fondo per riscrivere il futuro dell’Italia. Due modi di mettersi a disposizione del Paese, entrambi seri e rispettabili. Con la differenza che Meloni ha scelto di parlare al cuore degli italiani nel momento in cui quel cuore è agitato da mille timori: la guerra, i conti in rosso delle famiglie, il virus incombente. Mentre l’attenzione di Letta si è concentrata sul “cacciavite”, sugli strumenti per riparare il tetto da cui piove o il pavimento sfondato. Ruoli necessari entrambi con la differenza che la prima ha usato un linguaggio esplicito, diretto, alzando anche parecchio la voce. Ciò che non ha fatto il secondo, impostato quasi sempre sui toni bassi e con analisi da tecnocrate forgiato a Bruxelles. Salvo ricorrere agli accenti forti nell’evocare un possibile ritorno del fascismo, pericolo non avvertito come tale dagli elettori.
Sulla forza politica della parola nel voto del 25 settembre qualcosa di più preciso ha detto lo scrittore Emanuele Trevi, e senza girarci attorno: “Il mio sogno? Una Giorgia Meloni di sinistra. Una leader che abbia la sua forza dirompente e che esca dalla prigione del politicamente corretto che sta soffocando i progressisti”.
(barzel)Letta tecnocrate? Maddai…
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Dove è insinuato quel cacciavite?
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E poi, col cacciavite stai smontando, col giravite stai costruendo
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Ma va là, Padella..
Lettaman era così vecchio ed ammuffito anche a 24anni da consigliere DC al comune di PISA.
Iago al confronto e’ più simpatico,
qualsiasi FIGURINA sarebbe più emotivamente attraente di questo ghiacciolo sformato
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