La Corte di appello di Lecce ha dichiarato colpevole l’ex ministra e i dem. Una causa pendente da 8 anni, devono risarcire 50mila euro

(affaritaliani.it) – Teresa Bellanova (Iv) e il Pd sono stati condannati dalla Corte di appello di Lecce per aver “sfruttato” un lavoratore, e non un raccoglitore di pomodori vessato dal caporale di turno, ma un ufficio stampa: il loro. Maurizio Pascali – si legge sul Fatto Quotidiano – aveva preteso di essere messo in regola e per questo è stato trascinato in tribunale, in sede penale, con l’accusa di aver diffamato l’ex ministra di Italia Viva. Lei in tv aveva anche gridato alla truffa, al tentativo di estorsione nei suoi confronti da parte del collaboratore.

Ma il tribunale d’appello, dopo un iter durato 8 anni – prosegue il Fatto – ha deciso di dare ragione al lavoratore, come hanno confermato i testimoni dello stesso coordinamento salentino del Pd, lavorava da mattina a sera e quando necessario pure nei weekend e negli orari più svariati, garantendo una presenza fissa, anzi esclusiva nei rapporti con la stampa. Altro che prestazione resa in autonomia, come sostenevano Bellanova e il Pd salentino. E così il conto è presto fatto: 50 mila euro da risarcire (la maggior parte dal Pd, il resto da Bellanova) a Pascali per il lavoro svolto in tre anni.

Condannati Bellanova e Pd: finto cococo in staff

(DI ILARIA PROIETTI – ilfattoquotidiano.it) – Chissà che direbbe oggi la buonanima di Peppino Caldarola, uno dei pochi nel Pd che aveva osato alzare il ditino all’epoca in cui Matteo Renzi aveva fatto secco l’articolo 18, facendosi scudo del curriculum da bracciante di lei, Teresa Bellanova, la nuova Di Vittorio, nel senso di Giuseppe. E chissà cosa ne penserebbe lo stesso mitico sindacalista di Cerignola sempre dalla parte degli ultimi, della sentenza della Corte di appello di Lecce che ha condannato la sua conterranea, passata dai campi a calcare le scene politiche, per aver insomma “sfruttato” un lavoratore, e non un raccoglitore di pomodori vessato dal caporale di turno, ma un ufficio stampa: il suo. Prima disconosciuto perché di fronte ai giudici del lavoro Maurizio Pascali aveva preteso di essere messo in regola. Poi trascinato in tribunale, in sede penale, con l’accusa di averla diffamata sì, che lei in tv aveva anche gridato alla truffa, al tentativo di estorsione nei suoi confronti da parte del collaboratore, accusato pure di aver ottenuto con modalità fraudolente il rilascio di lettere di referenze su carta intestata della Camera, sempre a sua insaputa.

“Faremo ricorso in Cassazione”, annuncia già Bellanova che nel frattempo – la sentenza resa nota ieri è stata emessa a giugno –, gli ha già liquidato il dovuto, anche se la partita non è chiusa dopo 8 anni di vertenza. In primo grado, il giudice del lavoro di Lecce aveva escluso che la collaborazione di Pascali (inquadrato fittiziamente come libero professionista ancorché fosse l’addetto stampa fisso della segreteria del Pd salentino e pure della Bellanova) avesse i caratteri della continuità necessaria a dimostrare la sua pretesa. Ma in appello lo spartito è stato opposto: perché, come hanno confermato i testimoni dello stesso coordinamento salentino del Pd, lavorava da mane a sera e quando necessario pure nei weekend e negli orari più svariati, garantendo una presenza fissa, anzi esclusiva nei rapporti con la stampa. Altro che prestazione resa in autonomia, e dunque altro che partita Iva, vietata in casi come questi dalla legge Fornero di cui Bellanova fu relatrice. E così il conto è presto fatto: 50 mila euro da risarcire (la maggior parte dal Pd, il resto da Bellanova) a Pascali per il lavoro svolto in tre anni (1.200 euro lordi al mese). In sede penale, per la presunta diffamazione, sono finiti pure i cronisti che avevano osato raccontare la storia dell’ex ufficio stampa fatto passare come un passante.