“Intanto lasciamo che i Cinque Stelle si spacchino. E poi vediamo”. L’umore di giornata è riassunto così, da uno di quelli che transitano nelle stanze dei bottoni. Relativamente centrali, visto che Mario Draghi sta a Città della Pieve, in modalità Sfinge […]

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – “Intanto lasciamo che i Cinque Stelle si spacchino. E poi vediamo”. L’umore di giornata è riassunto così, da uno di quelli che transitano nelle stanze dei bottoni. Relativamente centrali, visto che Mario Draghi sta a Città della Pieve, in modalità Sfinge. Il piano, comunque, è quello. Più o meno a tutti i livelli: favorire una scissione numero due di M5S, che veda un nuovo esodo di parlamentari verso Luigi Di Maio. E questo sia se alla fine Giuseppe Conte sceglie di restare nell’esecutivo, sia se riesce a convincere i ministri a uscire. Perché da una parte sarebbe un modo per dire a Draghi che non si tratta di un governo senza i Cinque Stelle, perché “i Cinque Stelle non si sa più cosa sono”, dall’altra uno stop alla Lega, che vorrebbe andare avanti – nel caso opti per questa soluzione – senza grillini. Insomma, il Draghi bis comincia ad apparire, pure se in una maniera ancora informe. Perché se alla fine dovesse realizzarsi, dovrebbe essere un’operazione il più light possibile, con qualche sostituzione chirurgica. Il teorico di questa soluzione resta Matteo Renzi. Gli uomini delle trattative continue sono quelli delle grandi occasioni. Da Gianni Letta, che mantiene aperti i canali tra Pd e centrodestra, al ministro Dario Franceschini e il segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti, che vigilano sulle volontà del Colle, passando per Bruno Tabacci. Ma poi c’è Enrico Letta, segretario del Pd, che mantiene un canale aperto sia con Draghi che con i Cinque Stelle. Ieri ha ufficialmente chiesto al M5S di essere ancora della partita. Anche se al Nazareno hanno smesso da tempo di considerare Conte un interlocutore affidabile. Più netto è stato Andrea Orlando. Ma in realtà il gioco i ministri dem (compreso Lorenzo Guerini) lo conducono in maniera relativamente coordinata. Almeno in questa fase.

Intanto ieri restava l’incognita sui reali margini di ripensamento da parte di Draghi. A Palazzo Chigi continua a prevalere la linea che come pre-condizione servono tutti dentro al governo. Rimandata indietro con perdite l’idea di una nuova mediazione da parte del premier con il Movimento. La rinnovata richiesta di Conte di “avere chiarezza sui nove punti” viene percepita come una mossa che accelera la strada verse le elezioni. La giornata di ieri, però, faceva percepire un relativo ammorbidimento, con affermazioni meno categoriche rispetto all’indisponibilità dell’ex Bce a tornare sui suoi passi. “Mercoledì è lontano”, ci tenevano a sottolineare. Un modo per dire che alcuni processi devono arrivare a maturazione. Mentre si favoleggiava di presunte contropartite per restare. C’è chi era pronto a scommettere che il premier voglia la testa di Conte. Chi invece addirittura ventilava l’ipotesi di una trattativa aperta per ottenere dagli States, in cambio della sua permanenza a Palazzo Chigi, la successione a Soltenberg come Segretario Generale della Nato.

Domani Draghi sarà in Algeria a firmare l’accordo per il gas. Si era diffusa ieri la voce che tornando sarebbe andato di nuovo da Sergio Mattarella. Nessuna conferma. E probabilmente il colloquio non ci sarà domani, ma magari martedì. Perché il premier prima di andare in Aula per le sue comunicazioni farà un altro passaggio con il Presidente. I due si sono salutati in maniera interlocutoria, dovranno fare il punto. E capire prima di tutto se ci sono le condizioni per arrivare al voto dell’Aula. Draghi l’ha lasciata come possibilità. Ma con l’intenzione – se Salvini si sfila platealmente – di salire direttamente al Colle a dimettersi. La gestione di questa fase della crisi, anche se si arrivasse allo show down finale, sarà comunque concordata. Anche perché starebbe sempre a Draghi gestire un eventuale fase pre-elettorale.

Ieri anche i sindaci sono andati in pressing perché resti al suo posto: il Paese “ha bisogno di stabilità”, si legge in una lettera aperta firmata dai primi cittadini delle più importanti città italiane. Mentre continuano le pressioni internazionali. Di Maio si è spinto a dire in un’intervista a Politico.eu che la crisi politica a Roma potrebbe privare l’Ucraina delle armi e impedire l’introduzione del tetto massimo al prezzo del gas in Europa.