Attaccava la Nato per l’accerchiamento di Putin. Nel nuovo partito di Luigi Di Maio c’è una figura particolarmente originale, rispetto alla salda, imperturbabile collocazione atlantista annunciata dal leader. Come tanti ex idealisti grillini convertiti al realismo più mortifero […]

(DI TOMMASO RODANO – Il Fatto Quotidiano) – Nel nuovo partito di Luigi Di Maio c’è una figura particolarmente originale, rispetto alla salda, imperturbabile collocazione atlantista annunciata dal leader. Come tanti ex idealisti grillini convertiti al realismo più mortifero, Manlio Di Stefano ha cambiato la sua visione del mondo negli ultimi tre anni. Ha scoperto forse gli abiti sartoriali, il peso schiacciante della responsabilità (è sottosegretario agli Esteri dal 2018) e l’incombenza plumbea della fine del secondo mandato. Ha capito, tutta insieme, la grandezza dell’Occidente.

Palermitano, attivista del meet up di Milano, dove arrivò nel 2006 per fare l’informatico, era tra le figure più eccentriche, radicali e antisistema del M5S. Amico stretto di Alessandro Di Battista, con cui ha viaggiato in Congo e in Guatemala da cooperante, cementando una comune ispirazione terzomondista e posizioni lontane dal mainstream sulla politica globale.

Nel 2015 Di Stefano fu tra gli ispiratori della campagna contro le sanzioni alla Russia e il più entusiasta sostenitore del Cremlino nel Movimento. A giugno dello stesso anno, la sua firma vergava un articolo memorabile sul blog di Grillo, dal titolo “Putin circondato”. Un testo di straordinaria attualità: “Mai, dal Kosovo a oggi, abbiamo avuto una guerra in corso così vicina al cuore dell’Europa ma pare che a nessuno importi. L’Ucraina è stata prima violata con un vero e proprio colpo di Stato a opera dell’Occidente, poi si è rimpiazzata la sua amministrazione con una vicina agli USA e, adesso, la si vuole trasformare in una base NATO per lanciare l’attacco finale alla Russia”. La sensibilità atlantista era ancora in evoluzione, ma Di Stefano era un entusiasta: organizzava convegni (“Se non fosse Nato”), difendeva naturalmente l’annessione della Crimea, viaggiava spesso alla volta di Mosca e macinava apparizioni nella tv di Stato. Nel 2016 fu il primo Cinque Stelle a intervenire al congresso di Russia Unita, il partito dello zar.

Ma non viveva di solo Putin. Di Stefano era famoso per le visioni chaviste sul Venezuela, per quelle critiche su Israele (“Sionismo è razzismo”), per le uscite non sempre lucidissime (“Un abbraccio agli amici libici” dopo l’esplosione a Beirut), le parole eretiche persino sul terrorismo islamico: “Fenomeni radicali come l’Isis sarebbero da approfondire con calma e rispetto”. Con tanta calma e profondissimo rispetto, ha seppellito le sue idee per salvare la credibilità internazionale dell’Italia con Di Maio. Ha capito tutto, ma tardi: col fuso orario di Mosca.