True Data ha sondato le opinioni degli italiani su un possibile bis di Mario Draghi al governo e sulla guerra in Ucraina

(Stefano Marrone – true-news.it) – La storia recente lascia il sospetto che il nostro non sia un paese da referendumo almeno che non lo siamo più nella Seconda Repubblica. Anche guardando all’attualità, l’esito della consultazione con la minor partecipazione di sempre e delle amministrative a un anno dal voto, lascia adito a sorprese. Per prima cosa, i sondaggi pre-elettorali e gli exit poll ci hanno preso. Ci sarebbe poi una soluzione al vaglio del parlamento per far fronte in maniera sistemica al problema del crollo dell’affluenza: un libro bianco contro l’astensionismo.

Le note positive per il sistema-Paese finiscono qui. Chiuse le urne, rimangono gli strascichi all’interno della maggioranza, si infittiscono i sospetti tra le coalizioni e volano gli stracci dentro i partiti. Si aprono scenari sempre più tetri per il governo Draghi.

Draghi bis? No, grazie

Un bis di Mario Draghi? La maggioranza degli italiani risponde “no grazie”. Il 51% afferma di non avere fiducia nell’attuale capo del governo mentre un ulteriore 16%, pur approvando il suo operato, auspica un governo politico l’anno prossimo.

A volere Draghi a Palazzo Chigi anche nel 2023 è solo il 16,3% mentre il 14,8% è a favore a patto che ci sia una chiara maggioranza che lo sostenga in Parlamento. È quanto emerge dal sondaggio settimanale realizzato da Termometro Politico tra il 14 e il 16 giugno 2022.

Sulla bassa affluenza che ha affossato i referendum sulla giustizia, gli italiani danno diverse interpretazioni. Per il 29,5% il sistema ha boicottato il referendum, mediaticamente e politicamente, per il 23,7% ormai vi è un totale disinteresse per la politica in generale, che cresce anno dopo anno, per il 26% erano quesiti troppo tecnici e poco coinvolgenti per l’elettorato, infine per il 20% gran parte degli italiani non era d’accordo con i quesiti e ha fatto in modo che non passassero.

I meno filo-ucraini d’Europa

A ormai quasi quattro mesi dall’inizio della guerra ci si chiede cosa i Paesi occidentali dovrebbero consigliare di fare all’Ucraina. Le indicazioni che vengono dai sondaggi sugli italiani lasciano poco margine di manovra. Il nostro paese in Europa è quello dall’orientamento meno filo-ucraino e più vicino alla Russia.

È subito evidente nella domanda più importante, quella sulla responsabilità della guerra. Mediamente il 73% del pubblico internazionale risponde la Russia, e solo il 15% pensa che la colpa sia dell’Ucraina, gli Usa, la UE.

Tuttavia in Italia le proporzioni sono diverse: solo il 56% incolpa i russi. All’estremo opposto i finlandesi, tra cui della stessa opinione è il 90%, e inglesi, polacchi svedesi, con l’83%.

Ancora più chiaro il divario tra italiani e altri popoli nelle risposte alla domanda su quale Paese sia di ostacolo a una pace in Ucraina. Se a livello internazionale solo il 17% ritiene che sia l’Ucraina o la UE o gli Usa a impedire un accordo, in Italia tale percentuale diventa del 35%, ed è di poco inferiore al 39% che invece incolpa la Russia.

In media ad addossare la responsabilità su Putin è invece il 64%, e si arriva all’87% in Finlandia e all’82% in Svezia.

La stanchezza di un Paese: la visione dell’Osservatorio Globalizzazione

L’Italia è stanca e affaticata. Vuole chiuderla in fretta con la fase emergenziale e tornare alle dialettiche pre-Covid. La tempesta bellica e le sue conseguenze si riflettono sui consensi di Mario Draghi, che abbiamo visto del resto aver perso il tocco magico da tempo.

Draghi, l’idea di un’unità nazionale oramai logora e il sostegno all’Ucraina si sommano nel calo parallelo dei consensi del premier e del sostegno nazionale alla causa di Kiev.

Draghi è stato chiamato da Sergio Mattarella con la percezione di un pericolo incombente: unione del ritorno di fiamma della pandemia e del rischio recessione a inizio 2021. Un anno e mezzo dopo, l’effetto rallying around the flag è logoro e neanche i timori bellici lo rinverdiscono.

Il motivo è chiaro: da un lato saltano fuori le divergenze politiche e ogni parte, essendo entrambe le coalizioni titolate potenzialmente ad ambire a governare, accentuano il distacco dall’esecutivo nelle parole o nei fatti per riposizionarsi in vista del voto; dall’altro, Draghi è visto come l’uomo durante il cui governo si è prodotto il record di inflazione e rincari, vero contrappasso per l’esecutivo dichiaratosi “dei Migliori”. La stanchezza del Paese, riflettutasi nella scarsa affluenza al voto, è anche testimonianza dell’ennesimo disconoscimento dell’Uomo della Provvidenza di turno. Ciclo continuamente pronto a ripetersi nella nostra volatile democrazia.