Il report. Le doppie versioni della stampa, il silenzio di Palazzo Chigi e i tanti scaricabarile: quello che ancora non torna sui presunti putiniani. A cinque giorni dalla pubblicazione sul Corriere della Sera della lista dei filoputiniani d’Italia, è ancora mistero fitto. Le versioni contrastanti e contraddittorie sulla gestione del report sulla “rete” della disinformazione […]

(DI ILARIA PROIETTI – Il Fatto Quotidiano) – A cinque giorni dalla pubblicazione sul Corriere della Sera della lista dei filoputiniani d’Italia, è ancora mistero fitto. Le versioni contrastanti e contraddittorie sulla gestione del report sulla “rete” della disinformazione in Italia fanno addirittura dubitare sui contenuti di quel documento: c’è una “lista di proscrizione”, che è quella pubblicata dal quotidiano, o un rapporto del Dis senza nominativi e commenti relativi alle loro attività di presunti disinformatori per conto di Mosca? Ancor più difficile dire dunque se qualcuno abbia taroccato il documento originale e soprattutto quale fosse l’obiettivo di anticiparne i contenuti alla stampa, prima della sua trasmissione al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei Servizi segreti italiani, finito anch’esso nella buriana.

Perché il Corriere della Sera ha associato il report al Copasir in maniera contrastante: nella versione cartacea dell’articolo che ha suscitato un vespaio di polemiche, si parla di “dossier” dei Servizi. Mentre nella versione online diventa il report del Copasir, come ha evidenziato il presidente del Comitato, Adolfo Urso: “Su Internet il titolo era cambiato, come se fosse stato il Copasir a raccogliere le informazioni: il Copasir non fa e non può fare raccolta di informazioni”.

Gli Obiettivi L’indagine e il tipo di fonti
Ma quel documento chi l’ha voluto? Questo è un altro enorme punto interrogativo ancora da chiarire, al pari degli obiettivi della manina che l’ha allungato alla stampa. Il Copasir ha avviato un approfondimento sulle forme di disinformazione, ma non è chiaro a chi abbia chiesto contributi per alimentare questa indagine. Né se il documento dei misteri in questione sia stato trasmesso al Copasir per iniziativa autonoma dei Servizi.

Ma non è chiaro nemmeno di quali attività sia frutto. Nella versione di cui dà conto il Corriere si tratta di materiale raccolto dall’intelligence sui canali usati per la propaganda che “ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi e soprattutto la scelta dei momenti in cui la rete, usando più piattaforme sociali insieme fa partire la controinformazione”. Una mappa ricostruita dagli 007 corredata da nomi di filoputiniani e attività o dichiarazioni che li hanno fatto includere nella lista, come il fotoreporter Giorgio Bianchi che – come ha scritto il Corsera – “è definito dai report periodici che gli apparati di sicurezza inviano al governo, noto freelance italiano presente in territorio ucraino con finalità di attivismo politico-propagandistico filorusso”. Per Urso nulla di tutto questo: nel documento arrivato alla sua attenzione a palazzo San Macuto non c’è alcuna lista di proscrizione, ma un “bollettino coordinato dai Servizi e realizzato, come mi ha detto Franco Gabrielli, da un tavolo interministeriale che esiste dal 2019 presso il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, a cui partecipano ministeri, ma anche l’Agcom e realizzato con fonti aperte sulla metodologia delle fake news”. Insomma, un focus di scenario su come si è mossa la disinformazione in occasione dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma anche prima del conflitto.

Il documento Le accuse e i nomi coinvolti
Ma la lista allora esiste o no? È certo un fatto: è rimasta figlia di nessuno. Il Copasir nega che faccia parte del documento. L’Agcom ha precisato “di non aver partecipato alla stesura di alcun documento sull’informazione riguardante coloro che vengono definiti filoputiniani”. Era stato il Fatto a rivelare che il documento era frutto di un tavolo interministeriale aperto riunitosi nella prima settimana di giugno. Anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Franco Gabrielli, che è l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, è intervenuto per dire che il tavolo interministeriale dedicato alla minaccia ibrida alla sicurezza nazionale si è “recentemente riunito secondo una prassi routinaria” e che mai e poi mai i Servizi compilerebbero liste di proscrizione: “L’intelligence italiana non ha mai stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né ha mai svolto attività di dossieraggio”. Mentre Mario Draghi su questa vicenda non ha aperto bocca, né è noto se abbia ordinato un’indagine per capire come sia potuto accadere che un documento classificato dei Servizi sia finito in pasto ai giornali o se ritenga vi siano gli estremi per rivolgersi alla Procura della Repubblica. È certo che la gestione di questo documento ha danneggiato l’immagine innanzitutto dei nostri apparati di sicurezza, a cominciare dal Dis che è un dipartimento della Presidenza del Consiglio.

Ed è danneggiata l’immagine pure dei sediziosi “putiniani” finiti sul giornale con le foto segnaletiche. E che ora affilano le lame, pronti a querelare in massa: il primo ad annunciarlo è stato Alessandro Orsini, ma lo farà anche Giorgio Bianchi che aveva già “una pendenza” con il Corriere che lo aveva definito “negazionista” e che dice di aver già subito un danno professionale enorme. Maurizio Vezzosi ha annunciato querela dal Donbass e denuncia “il goffo tentativo di delegittimarmi a ogni costo, fosse anche quello dello scadere nel ridicolo: dimostrando, oltretutto, di ignorare pressoché in toto il contenuto delle mie analisi”.

La lettera Petrocelli scrive a Casellati
È amareggiato anche il senatore Vito Petrocelli, costretto alle dimissioni dalla commissione Esteri di palazzo Madama, unico parlamentare nella lista dei presunti fiancheggiatori di Mosca: ha preso carta e penna per scrivere alla sua presidente, Maria Elisabetta Alberti Casellati: “L’articolo pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso 5 giugno individua in maniera del tutto arbitraria una lista di persone definite ‘putiniani d’Italia’. Mi sono ritrovato in questa lista a causa delle opinioni espresse sul conflitto tra Russia e Ucraina, dei voti contrari riguardo all’invio di armi italiane e del ruolo di presidente della Commissione Affari esteri del Senato della Repubblica che ho ricoperto. Sono molto amareggiato per il silenzio con cui Lei e il presidente del Copasir, senatore Urso, avete lasciato che la mia persona venisse messa alla pubblica gogna in una lista infamante e di oscura provenienza”. Non un fatto solo personale, a sentire Petrocelli: “Ritengo che a essere attaccata non sia stata solo la mia onorabilità, ma anche e soprattutto l’istituzione di cui faccio parte, il Senato della Repubblica, e le libertà di opinione ed espressione garantite dalla Costituzione e dalle leggi del nostro Paese. Per il ruolo che Lei ricopre, egregio Presidente, ritengo che il Suo silenzio sia ancor più assordante. Nella speranza che voglia esprimere una posizione su una vicenda estremamente grave, Le annuncio che presenterò querela formale contro il Corriere della Sera”.