Molti di quelli che si spellavano le mani per Draghi ora lo attaccano. Persino Confindustria, dopo la standing ovation, è critica. E sulle spese militari i sondaggi sono impietosi. Forse, visto il personaggio, non capiterà di vederlo mai con un mojito in mano. Ma la storia politica di Mario Draghi vive una crisi che […]

(DI LORENZO GIARELLI – Il Fatto Quotidiano) – Forse, visto il personaggio, non capiterà di vederlo mai con un mojito in mano. Ma la storia politica di Mario Draghi vive una crisi che ricorda quella di cui fu protagonista dal Papeete Matteo Salvini, causa del suo mal fino al punto da dimezzare i propri consensi. A differenza del leghista, Draghi non ha un partito da prosciugare, ma dopo la famosa conferenza di fine 2021 – quella del “nonno al servizio del Paese” con cui si auto-candidava al Quirinale – il premier è comunque riuscito a fallire l’obiettivo del Colle (come notato più sulla stampa estera che su quella italiana) e a inimicarsi, tra gli altri, sindacati, magistrati, sindaci e persino Confindustria. Quasi tutta gente che durante i primi mesi di governo si spellava le mani per applaudire il Migliore.

Giustizia. Sul Fatto, Nino Di Matteo l’ha definita una riforma “che realizza il disegno di Berlusconi”. La riforma del Csm scontenta i magistrati, che minacciano lo sciopero. Area Democratica parla di un testo “con profili devastanti per l’indipendenza e l’autonomia della magistratura”. Giuseppe Santalucia, presidente dell’Anm, ha sottolineato che “un sistema democratico abbia bisogno di una magistratura libera e non impaurita”. Parole al vento.

Sindaci. Fino a pochi mesi fa, Beppe Sala guidava il partito dei sindaci draghiani. Subito dopo il bis di Sergio Mattarella, aveva invocato un governo di SuperMario “anche dopo il 2023”. Una speranza condivisa dal sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, che già faceva di conto: “Serve un proporzionale con soglia di sbarramento alta, diciamo al 5 per cento sul modello tedesco. Questo creerebbe i presupposti per un governo Draghi anche dopo il 2023”. Chi si sarebbe immaginato, allora, che proprio Sala scaricasse il Migliore?

E invece, pochi giorni fa, ecco l’affondo: “Non posso avere fiducia in un governo che non ascolta la città”. Uno sfogo dovuto ai pochi trasferimenti verso i Comuni, in crisi a causa del caro energia. Il pretoriano Ricci ha già messo via l’abaco: “Il governo ascolti il grido di dolore di Sala. L’inflazione sta devastando i bilanci comunali e le risorse stanziate finora non coprono un trimestre”.

Industriali. A settembre l’assemblea di Confindustria tributava a Draghi una standing ovation che lasciava intuire l’atteggiamento degli industriali nei confronti del premier. Per Carlo Bonomi, leader degli imprenditori, Draghi era “l’uomo della necessità”, da blindare, ça va sans dire, anche per la prossima legislatura.

Un simile amore non è certo svanito del tutto – anche perché, per Confindustria, Draghi resta preferibile alle alternative – ma i toni sono cambiati. Sull’energia soprattutto. La tassa sugli extraprofitti è stata giudicata “incostituzionale”, i sostegni agli imprenditori “deludenti”, i rincari in bolletta sono motivo di “insoddisfazione e preoccupazione”. Insomma, per dirla con Bonomi: “Avevamo chiesto degli interventi coraggiosi e strutturali, cosa che purtroppo è venuta a mancare”.

Sindacati. A dicembre fu sciopero generale di Cgil e Uil. Oggi, con gli italiani preoccupati dall’inflazione e dai costi della guerra in Ucraina, i sindacati sono tornati da Draghi a chiedere garanzie sul sociale. Tornando, per ora, a mani vuote. E seppur con le solite sfumature (critica la Cgil, molto più conciliante la “governista” Cisl), la scorsa settimana tutti e tre i leader sindacali si sono detti “insoddisfatti” dalle misure del governo per placare la crisi.

E su altri dossier delicati le cose non promettono bene. Andrea Filippi, responsabile della Cgil per i medici e i dirigenti sanitari, è sconsolato per i tagli alla Salute: “Siamo di fronte a una riduzione della spesa per il Ssn a fronte di un aumento della spesa per gli armamenti. Evidentemente c’è una scelta precisa da parte del Paese”. Stessa denuncia della Cgil Scuola: “L’ultima follia: si prospetta l’aumento di 15 miliardi delle spese militari per un accordo Nato e si tagliano gli investimenti sulla scuola”.

Giornali. Persino qualche giornale si sta rassegnando. Su Repubblica , Stefano Folli deve prender atto della “semiparalisi delle Camere”, delle “ambiguità che percorrono alcuni partiti” e “dell’incrinato spirito di unità nazionale”. Non è colpa di Draghi – ci mancherebbe! – ma insomma la conclusione è che “la guerra puntella una legislatura finita”. Libero tifa Berlusconi: “Se tassa la casa, Draghi va a casa”. Un calembour confortato da una certezza: “È Silvio l’ultima carta del governo”. Sulla Stampa, Marcello Sorgi fiuta il clima da ultimi giorni di scuola: “Draghi deve prepararsi a un’instabilità politica della quale la svolta movimentista di Conte è solo il primo sintomo. Ma cosa succederà quando a muoversi sarà la sinistra del Pd? E quando Salvini avrà finito la penitenza della tragicomica missione al confine con l’Ucraina?”.

Sondaggi. I sondaggi, pur genericamente benevoli nei confronti del premier, sono impietosi sulla gestione del conflitto. Le rilevazioni evidenziano soprattutto la netta contrarietà degli italiani sull’aumento delle spese militari. Ma anche sull’invio di armi in Ucraina gli istituti concordano. Per prendere l’ultimo dato di Emg, il 53 per cento preferirebbe non spedire aiuti militari, mentre solo il 35 è d’accordo. Numeri che influenzano il gradimento del governo (Ixé per la prima volta lo dà sotto il 60 per cento, al 59), non certo favorito dalle ultime uscite di Draghi (il referendum tra “pace” e “condizionatori”) e dal poco peso in politica estera.

Presentato come l’erede di Angela Merkel alla guida dell’Ue, Draghi s’è inabissato, fino a bucare “per motivi tecnici” (non invitato, aveva provato a partecipare online) un summit con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen. Prima, la gaffe con Zelensky, descritto alla Camera come “non disponibile a rispondere” alla sua telefonata: “La prossima volta – la replica stizzita del premier ucraino – sposterò l’agenda di guerra per parlare con Draghi”.