Vincenzo Agostino ha giurato sulla bara del figlio che finché non si fosse accertata la verità sull’assassinio di Nino Agostino, morto tra le sue braccia, non si sarebbe tagliato né la barba, né i capelli. […]

(Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo”. Dal film “Io lo so chi siete”. Vincenzo Agostino ha giurato sulla bara del figlio che finché non si fosse accertata la verità sull’assassinio di Nino Agostino, morto tra le sue braccia, non si sarebbe tagliato né la barba, né i capelli. Che si sono fatti candidi. Aspetta dal 5 agosto del 1989, da quando, a Villagrazia di Carini, l’agente di polizia della Questura di Palermo cadde sotto i colpi dei killer, insieme alla giovane moglie Ida, incinta. Erano attesi nella casa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella più piccola. Sono cose che squarciano il cuore e ogni volta che ho pensato a quel padre, a quella famiglia, che in un attimo passano dalla gioia alla tragedia più assoluta, mi convinco che io da padre sarei impazzito. Oppure avrei trascorso il resto della vita a progettare la più efferata delle vendette. Nel film “Io lo so chi siete”, che domani 21 marzo sarà presentato al cinema Farnese di Roma (e che uscirà nelle sale di tutta Italia, dopo gli applausi al Taormina FilmFest), la presenza di questo uomo, anziano ma ancora vigoroso, parla e agisce come l’incarnazione della nemesi, che è la negazione stessa della legge del taglione. Riposto l’infinito tormento in un tabernacolo interiore, egli ci appare come la personificazione della giustizia terrena. Quella che mossa da un sentimento potente, esclusivo, assoluto fatto di amore struggente, rimpianti, insanabile dolore è tale da far tremare le vene ai polsi degli assassini, se mai in quella presenza implacabile dovessero imbattersi. Perché lui sa chi sono. Nel cinema di Alessandro Colizzi e Silvia Cossu all’essenzialità della narrazione nulla viene aggiunto, perché di nulla la croce del giusto necessita se non dell’ansia di verità che essa suscita in chi s’interroga colpito da tanta dignità, resistenza, devozione. Da trentatré anni, accanto alla moglie Agusta (scomparsa nel 2019), Vincenzo Agostino sta cercando di riannodare quel filo di sangue che attraverso un percorso infinito di bugie, omissioni, depistaggi conduce alla fonte del non più negabile intreccio tra la mafia e lo Stato. Io lo so chi siete. È quel libro nero che da più di un trentennio un manipolo di cittadini coraggiosi (magistrati, uomini delle istituzioni, familiari delle vittime) sta cercando di scrivere. “Quel filo delle stragi”, ha scritto Salvatore Borsellino, “che nega giustizia ai morti costringendo i parenti a sospendere il normale corso della propria esistenza e a improvvisarsi egregi investigatori, giornalisti e addirittura politici”. L’agente Agostino era stato accanto a Giovanni Falcone e doveva pagare ciò che di indicibile era venuto a sapere. A cominciare dall’attentato dell’Addaura, strumento criminale con il quale le “menti raffinatissime” si erano proposte di distruggere la persona fisica e quella morale del giudice. Che insieme a Paolo Borsellino rappresenta del coraggio civile il simbolo tra i simboli. Mentre Vincenzo Agostino si fa testimone della storia girando per le scuole d’Italia, l’ammirazione che sprigiona dagli occhi dei ragazzi che lo ascoltano ci fa dire che quel sacrificio non è stato inutile. Perché, come lui ci dice, “il terreno non è più arido”. E, dunque, la speranza può finalmente germogliare.