Stando ai sondaggi, un “centro” fatto di cespugli e cespuglietti toccherebbe il 20 per cento, rendendo difficili ipotesi di intesa sia a destra che a sinistra. A 5S e Pd uniti mancano 12 punti […]

(DOMENICO DE MASI – Il Fatto Quotidiano) – Com’è giusto che sia, prima il Covid e poi la guerra hanno assorbito tutta la nostra attenzione facendo passare in secondo piano le vicende politiche interne. Intanto, però, i partiti hanno continuato i loro giochi e i sondaggisti non hanno smesso di misurare il loro stato di salute attraverso le intenzioni di voto dell’elettorato.

Ogni lunedì, ad esempio, Mentana trasmette nel suo telegiornale delle 20.00, i risultati di un sondaggio sugli orientamenti di voto commissionato da La7 alla Swg. Mi è venuta la curiosità di comparare i risultati di quattro sondaggi effettuati con cadenza annuale nell’arco di tre anni, dal 4 marzo del 1919 al 14 marzo del 2022. Non sono un esperto di tecniche elettorali e mi limito a rapide riflessioni dettate da semplici calcoli aritmetici, che richiedono molta pazienza da parte dei lettori ma, in compenso, li ripagano con qualche informazione non priva di interesse.

Anzitutto colpisce l’entità degli spostamenti che, in poco più di mille giorni, l’elettorato ha compiuto da un partito all’altro. Il 4 marzo di tre anni fa i 5 Stelle erano al 22,1%; ora sono al 13%, perdendo 9 punti; ancora peggio è capitato alla Lega, scesa dal 33,4% al 16,2% perdendo 17 punti. Nello stesso periodo Fratelli d’Italia è salito dal 4,4% al 21,5%, guadagnando quei 17 punti che la Lega ha perso. Poiché sia la Lega che Fratelli d’Italia hanno una sola persona al comando, a Salvini va quasi tutta la colpa del crollo e alla Meloni va quasi tutto il merito del successo.

I partiti rimasti fermi sono Forza Italia, passato appena dall’8,8 all’8,1% grazie alla persistente presenza di Berlusconi, e i piccoli partiti a sinistra del Pd, che erano al 4,4 e sono al 4,6%. Colpisce l’esiguità costante dei consensi a questi partitini, incapaci di intercettare le masse crescenti di precari e di poveri.

A prima vista sembrerebbe che anche il Pd sia allo stallo: i suoi consensi erano al 19,8% nel marzo 2019 e sono al 21,3% oggi. Ma nel frattempo questo partito ha perso due costole: Italia Viva di Renzi, che è al 2,5%, e Azione di Calenda che, insieme a + Europa della Bonino, ora raggiunge il 5,2%. Praticamente l’uscita di Renzi e Calenda non ha danneggiato il Pd che però, da 24 mesi a questa parte, resta inchiodato al 21% pure avendo nel frattempo cambiato il segretario e rafforzato l’organizzazione.

I 5 Stelle, dopo il tonfo di consensi subìto nel 2019, per due anni sono rimasti fermi intorno al 16%, ma in queste ultime settimane hanno imboccato una nuova discesa che potrebbe rivelarsi inarrestabile. Anche questo movimento ha cambiato il vertice e si è dato un nuovo statuto con rinnovati valori e organizzazione, tuttavia il suo percorso verso una forma compiutamente partitica è stato ostacolato dalle lungaggini burocratiche che Davide Casaleggio è riuscito a imporre al cambiamento, dalla mancanza di una proposta politica esplicitamente di sinistra, dalla partecipazione all’attuale governo estraneo alla sua ideologia, al suo stile e alla sua storia, dalle sventatezze di Grillo, dalla defezione di Di Battista, dalle scaramucce di Di Maio contro Conte, dalla doppia sospensiva dei giudici di Napoli, dall’ininterrotta ostilità di quasi tutti i media, da una comunicazione debole e confusa. È facile ipotizzare che, senza l’apporto della persistente popolarità personale di Conte, già oggi la percentuale dei consensi riscossi dai 5 Stelle sarebbe a una cifra.

Proviamo ora a immaginare quali governi potrebbero venirne fuori in base alle sole intenzioni di voto raccolte da Swg e senza tenere conto di eventuali premi di maggioranza.

Una evidente novità, rispetto a tre anni fa, è la presenza al centro di sei partiti (Berlusconi + Calenda + Renzi + Bonino + Verdi + Italexit Paragone) che, messi insieme, raggiungono il 20%. Uniti al 16,2% della Lega e al 21,5% di Fratelli d’Italia, consentirebbero un governo di centrodestra attestato sul 58%. Ma è facile immaginare le difficoltà che questi tasselli incontrerebbero per tenersi uniti in un unico mosaico.

Lo stesso 20% del Centro, unito al 21,3% del Pd, al 13% dei pentastellati, al 4,6% di Sinistra e Articolo 1, consentirebbe un governo di centrosinistra, anch’esso con il 58,8% dei consensi. Ma è ancora più difficile immaginare che un aggregato di questo genere possa durare nel tempo.

Immaginiamo ora che, con qualche escamotage filo-europeo, Fratelli d’Italia sia estromesso dall’arco costituzionale, come fu a suo tempo per Pci e Msi. A questo punto sarebbe impossibile fare sia un governo di centrodestra perché raggiungerebbe appena il 36,2% dei consensi; sia un governo di sinistra, che non supererebbe il 38,9%; sia un governo di centrosinistra che arriverebbe solo al 40,9%.

Manca un anno alle elezioni politiche. Per aggiungere i 12 punti percentuali che gli occorrono, Pd e 5 Stelle dovrebbero schierarsi decisamente a sinistra e intercettare i 12 milioni di elettori precarizzati dal neo-liberismo, in gran parte rintanati nel mucchio degli astensionisti (42%) e in disperata attesa di un partito che gli dia voce, tutela e organizzazione antagonista.