Il “narciso Amato show” è un reality del Diritto. Non partecipiamo al tripudio e non cadiamo in deliquio per il “Giuliano Amato show”, per questo 83enne “vitale” e “mattatore” che “striglia il Parlamento” (Foglio) con la sua “oratoria raffinata dai toni bassi” (Repubblica), […]

(DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Non partecipiamo al tripudio e non cadiamo in deliquio per il “Giuliano Amato show”, per questo 83enne “vitale” e “mattatore” che “striglia il Parlamento” (Foglio) con la sua “oratoria raffinata dai toni bassi” (Repubblica), tantomeno ci uniamo al compiacimento per le sadiche bacchettate sulle nocche ai “promotori pasticcioni” (ibidem) da parte di questo “combattente coi capelli bianchi” (La Stampa).

Per noi la conferenza stampa di un’ora tenuta dal neo-presidente della Corte Costituzionale in diretta sul canale Vimeo della Consulta pochi minuti dopo la camera di Consiglio, mentre l’account Twitter ufficiale riportava come fa da giorni ogni parola, mugugno, monito e battuta del de cuius, è stata uno spettacolo insieme imbarazzante e avvilente. Il linguaggio, che ai giornali importanti è sembrato “pop”, era sciatto, superficiale: “Se io sono in grado di fare l’ultima mossa e di mettermi la pasticca sulla lingua sono coperto ed è coperto chi mi dà la pasticca, e se non sono in grado di darmi la pasticca sono Million Dollar Baby, ci vuole Clint Eastwood che mi fa l’iniezione”. Il registro inutilmente beffardo: “Chi non ha sentito questa parola (eutanasia, ndr), sono pronto a offrirgli due fustini di Dixan”. Il contenuto, non sempre veritiero: “Il primo ragazzo maggiorenne che arriva a decidere che la vuole fare finita, e trova un altro ragazzo come lui, e una sera in cui hanno un po’ bevuto glielo fa (sic)…”. Questo, come fa notare Marco Cappato dell’Associazione Luca Coscioni, non è vero: se il referendum fosse passato sarebbe rimasta in vigore la norma che punisce come omicidio volontario l’atto compiuto contro una persona in condizioni di deficienza psichica, per altra infermità o per abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti.

Il messaggio, non sempre pertinente: “Leggere o sentire che chi ha preso la decisione non sa cosa è la sofferenza mi ha ferito, ha ferito tutti noi ingiustamente”, al che verrebbe da dire “e quindi?”; il dato non interessa, non rileva: o vogliamo introdurre il criterio dell’effetto emotivo che i quesiti referendari e le relative polemiche hanno sui giudici della Consulta, tra quelli per la loro ammissibilità? Introdurre nel discorso, che dovrebbe esser rigoroso e neutro, una categoria passionale (l’offesa, la ferita) è semplicemente ridicolo.

Lo stile esorbitante, non istituzionale: “Vi dico una cosa che non potrei dire”. E allora non la dica, presidente, che fa, la spia? Che siamo, nel confessionale del Grande Fratello? Poi si butta nella mischia, fornendo stralci di motivazioni sul rigetto dei due temi più popolari, cannabis e eutanasia, provocando risse sui social e nei talk show, trasformando un organo sacro come la Corte in un reality del Diritto Costituzionale, quando avrebbe potuto scrivere due righe di comunicato in attesa delle motivazioni formali. Da quando l’hanno tirato in ballo per il Quirinale, si sente chiamato a comunicare, monitare, esternare: forse pensa che il Paese penda dalle sue labbra. Sull’ammissione del quesito per abolire la legge Severino, dice che il criterio è stato lo stesso di quello adottato per non ammettere il testo sulla cannabis (per incompatibilità coi trattati internazionali non si può consentire “la coltivazione di droghe pesanti”: che ci vuole a farsi una raffineria di eroina sul balcone?): “l’incandidabilità (dei condannati, ndr) non rispondeva a obblighi internazionali”. Ma perché tirare in ballo i trattati internazionali quando c’è l’art. 54 della Costituzione che impone “disciplina e onore” a chi ricopre cariche pubbliche?

“Non abbiamo cercato peli nell’uovo”: e perché? Sono andati a occhio? Hanno giudicato l’ammissibilità dei quesiti alla carlona? Non è compito della Consulta anche cercare il pelo nell’uovo, per limitare al massimo ogni dubbio ed errore? Su Cappato: “Dire che questa Corte fosse mal disposta significa dire una cattiveria che si poteva anche risparmiare, per lui era più opportuno riflettere su cosa stava facendo”. Chi critica la Corte su questioni politiche e tecnico-giuridiche è cattivo. Era indispensabile questa smargiassata? Amato va avanti così per un’ora, prolisso, ciarliero, autocompiaciuto. Un cronista gli chiede di una certa intervista e di una certa cravatta: “Ah… quando ero ragazzo io serviva molto, l’uomo senza cravatta o faceva il regista o faceva l’attore, eheh, quindi io riuscivo a capire il vostro mestiere… io lo dissi a chi mi intervistava: avevo un professore a Pisa che ci cacciava via se non avevamo la cravatta in classe, e…”. Interessante, presidente, ci dica di più. Chissà che avvincenti messaggi di fine anno dal Quirinale, se fosse andata com’egli desiderava.

In questi anni ci siamo concentrati sui ladri, non sempre con successo, e ci è sfuggita una delle peggiori piaghe che affliggono il Paese: la mania di protagonismo di chi ha potere. Basta, per pietà, coi narcisisti nelle Istituzioni.