Secondo uno studio Usa-Italia pubblicato su Cell, l’efficacia contro Omicron è dell’84-85 per cento. È plausibile, inoltre, che i vaccini possano proteggere anche contro future mutazioni.

(tag43.it) – «La pandemia non è finita, Omicron non sarà l’ultima variante», ha avvertito il Centro Europeo per le Malattie. Secondo gli esperti, eventuali mutazioni del virus non dovrebbero essere più pericolose e, comunque, sono allo studio vaccini contro tutte le varianti. Nel frattempo, un buona notizia arriva dai risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Cell da un team di ricerca del La Jolla Institute for Immunology, guidato da Alessandro Sette, dell’Università della California a San Diego, in collaborazione con il gruppo guidato da Gilberto Filaci, direttore dell’Unità di Bioterapie dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova e ordinario di Scienze tecniche di medicina e di laboratorio dell’Università di Genova: le varianti del Coronavirus non riescono a “bucare” la protezione dei vaccini anti-Covid, che continuano a garantire protezione anche passati sei mesi dalla somministrazione.

Vaccino anti-Covid, l’importanza delle cellule T
Come evidenzia lo studio, l’efficacia del vaccino contro le varianti del Covid dopo sei mesi arriva a circa l’87-90 per cento. Il valore della protezione scende appena all’84-85 per cento soltanto per Omicron, rispetto a quella iniziale. Dallo studio è emerso che i vaccini, oltre agli anticorpi, stimolano la formazione di cellule T di memoria, che sanno “smascherare” e combattere il virus, anche quando cambia faccia. Queste cellule, capaci di riaccendere in tempi brevissimi la risposta immunitaria, sono la chiave per una protezione di lunga durata dalle forme gravi di malattia per molto tempo, a prescindere dalle possibili mutazioni future. «La dose booster si conferma come il metodo migliore per “richiamare alla lotta” altre cellule T di memoria, rafforzando la nostra linea di difesa contro il virus», ha dichiarato Filaci.

Vaccino anti-Covid, protezione immunitaria di lunga durata
Lo studio ha analizzato la risposta delle cellule T, di persone vaccinate con quattro differenti vaccini (Pfizer-BioNTech, Moderna, Johnson & Johnson/Janssen e Novavax),dimostrando che riconoscono tutte le dieci diverse varianti emerse negli ultimi mesi, Omicron compresa. «Visti i risultati dei test a sei mesi dal vaccino, è molto probabile che le cellule T dei vaccinati diano luogo a una protezione immunitaria di lunga o lunghissima durata nei confronti della malattia grave», ha spiegato Filaci. «È plausibile poi che il vaccino possa frenare anche le future varianti». Allo studio hanno partecipato, con un ruolo di rilievo, un’altra giovane ricercatrice italiana, Alba Grifoni, e l’americana Alison Tarke, iscritta al Dottorato di ricerca in Immunologia Clinica e Sperimentale dell’Università di Genova.
Contrordine Kompagni!
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E’ incredibile che faccia che hanno questi ‘scienziati’.
Ma come, si è visto chiaramente che la gran parte dei malati sono GIA’ vaccinati (vedi Galli, Jovanotti, Mentana, tutti in 3a dose) e questi raccontano che l’immunità è quasi il 90% anche a 6 mesi.
Ma si rendono conto che razza di cialtroneria è diventata la scienza?
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La disinformazione all’opera.
A questo punto:
1- a che serve la 3a dose.
2- ce lo siamo sognato il report ISS che rimarca che la maggior parte dei ricoveri e dei morti sono di persone vaccinate?
Ma questi ti prendono proprio per cretino, non c’é niente da fare.
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Infatti, chi va a credere agli “studi” di una universita’ con un nome simile… Figurati, “la Jolla”, e che e’, la zia della Donato al minuto 24?
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Figurati a uno che si chiama NOENNIO, quando va bene…
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Ho detto piantala di toccarti… metti subito le mani sul banco!
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Saprei io dove metterle le mani, IMB3CILL3!
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Posso ridere delle mani sul banco (ogni tanto l’ex signor Ennio risulta funny) o lo consideri unfair?
P.s. Ho visto che ti sei fidanzato con la nazi nonna e che hai scelto l’empio per testimone di nozze. Very compliments!
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Dio quanto sei gelosa (cit.)!
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Ah ah ah!
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se la si chiama
Università della California, San Diego, La Jolla aka ucsd
le suona differente ed acquista credibilità?
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Marco, Ennio era ironico…
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W LA SCIENZAH…
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Contrordine, blocchiamo il nuovo vaccino tarato per omicron in uscita a giugno.
Smaltiamo le scorte, un quarto di dose ai neonati.
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La Jolla e la Ciolla….😏
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estratto
Quando una persona vaccinata viene a contatto con il virus, anche mesi dopo la vaccinazione, i linfociti T stimolano rapidamente i linfociti B a produrre anticorpi specifici: in questo modo si crea quasi immediatamente un ‘doppio scudo’ contro il virus e l’infezione è pronta combattuto e sradicato molto più rapidamente ed efficacemente che nelle persone non vaccinate.
Questo è un altro motivo per cui le persone vaccinate, sebbene possano ancora essere infettate, presentano generalmente forme lievi o addirittura asintomatiche dell’infezione.
Dati i risultati dei test 6 mesi dopo il vaccino, è molto probabile che i linfociti T dei vaccinati diano luogo a una protezione immunitaria di lunga o lunghissima durata contro malattie gravi, ma
la dose di richiamo
rimane molto importante per ulteriormente minimizzare il leggerissimo calo della risposta dei linfociti T osservato 6 mesi dopo la vaccinazione.
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Domani ci sarà il contrordine. Sulle riviste gli “studi” abbondano. Mai come ora.
Per intanto “andiamo sempre meglio”. “E’ ora di riaprire”. Riaprire cosa che è sempre stato aperto tutto per noi vaccinati ossia per la stragrande maggioranza degli Italiani? Qualcuno vede i Green pass ossessivamente controllati nei negozi? Qualcuno vede “sicurezza” nei ristoranti e nei bar?
Se gli Italiani sono ancora prudenti è perchè vedono famigliari, amici e loro stessi ammalarsi anche in modo pesantino ( e spesso tardare a negativizzarsi: lavoron perso) anche con il booster, e non spendono per via dell’ inflazione e del futuro incerto.
E magari anche guardando i “numeri” della TV ( recitati sempre più in fretta ), si accorgono che i tamponi di ieri sono stati solo 283.000 contro i 1.132.000 di un mese fa. E che il tasso di positività supera ancora il 10%, e siamo ancora al record europeo di morti…
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Chi è guarito dalla Covid-19 ha un rischio maggiore di sviluppare complicanze cardiovascolari, fino ad un anno dopo l’infezione. Non solo gli ex ricoverati o coloro che sono fortunatamente usciti dalle terapie intensive però, ma anche chi nei mesi scorsi ha contratto una forma lieve di malattia.
Specie se si tratta di pazienti over60, si è infatti più esposti ad aritmie cardiache, coaguli di sangue, ictus, malattia coronarica, infarti o insufficienza cardiaca. È questo il principale risultato del più grande studio condotto finora sugli effetti a lungo termine del Coronavirus sul nostro organismo.
La ricerca è stata svolta negli Stati Uniti dalla Washington University School of Medicine di St. Louis sui dati messi a disposizione dal Dipartimento degli affari per veterani tra marzo del 2020 e gennaio del 2021.
Lo studio ha coinvolto in totale 154mila pazienti (al 90% uomini e con un’età media pari a 60 anni) la cui storia clinica è stata paragonata a quella di ben 11 milioni di americani, divisi tra coloro che avevano richiesto assistenza medica in quello stesso periodo (senza però essere positivi al tampone Covid) e coloro che invece si erano rivolti al sistema sanitario nel 2017, prima che la pandemia entrasse nelle nostre vite.
Ebbene, nel complesso, i ricercatori hanno riscontrato un aumento del rischio di manifestare sintomi dovuti ad almeno 20 diverse malattie cardiache tra le persone che avevano contratto la Covid19 nell’anno precedente, rispetto a chi invece non l’aveva avuta.
Ma soprattutto questi effetti non sono risultati evidenti solo tra coloro che avevano sofferto di forme gravi della malattia, ma anche tra chi l’ha superata con lievi sintomi. E anche a prescindere dall’età o altri fattori: l’incremento del rischio di incappare in patologie cardiovascolari è infatti simile sia tra gli anziani che tra i giovani, così come tra obesi e normopeso, o fumatori e non.
«Ciò che stiamo vedendo non va bene. La Covid-19 può portare a gravi complicazioni cardiovascolari e alla morte. Il cuore non si rigenera o si ripara facilmente dopo un danno cardiaco. Queste sono malattie che colpiranno le persone per tutta la vita», ha spiegato Ziyad Al-Aly, docente di medicina alla Washington University.
Nello specifico è stato evidenziato un rischio più alto del 63% per quanto riguarda tutte le malattie cardiovascolari, e del 55% più elevato di incorrere in eventi cardiovascolari gravi, come un infarto o un ictus.
I 154mila pazienti Covid presi in considerazione, nell’anno successivo all’infezione, hanno fronteggiato un rischio del 52% più alto di avere un ictus e del 49% più alto di un attacco ischemico transitorio rispetto a chi invece non ha mai contratto il Sars-Cov2. Allo stesso modo aumentano del 79% le probabilità di soffrire di fibrillazione atriale, dell’85% quelle di pericardite, del 63% quelle d’infarto e del 72% di scompenso cardiaco.
«Le implicazioni più ampie di questi risultati sono chiare – hanno scritto i ricercatori – Le complicanze cardiovascolari sono state descritte nella fase acuta di Covid-19. Ma il nostro studio mostra che il rischio di malattie cardiovascolari si estende ben oltre la fase acuta».
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