Un tempo da quelle parti uno valeva uno, o almeno così giuravano. Ma i Cinque Stelle hanno capito o accettato che in politica non funziona così, perché uno ha sempre un valore diverso dall’altro. Figurarsi ora che si discute sull’orlo di un burrone […]

(DI LUCA DE CAROLIS – Il Fatto Quotidiano) – Un tempo da quelle parti uno valeva uno, o almeno così giuravano. Ma i Cinque Stelle hanno capito o accettato che in politica non funziona così, perché uno ha sempre un valore diverso dall’altro. Figurarsi ora che si discute sull’orlo di un burrone.

Luigi Di Maio, l’uomo dei tavoli. Dopo aver morso sul collo Giuseppe Conte a Quirinale ancora caldo – “nel M5S serve una riflessione politica, certe leadership hanno fallito” – il ministro è tornato a giocare come fa da settimane, in silenzio. Nessuna dichiarazione su tv o quotidiani, ma una scelta, pesantissima, le dimissioni dal comitato di garanzia. Ha mosso lui, prima che il passo di lato glielo chiedesse l’avvocato, l’avversario, in assemblea. Due giorni dopo è arrivata l’ordinanza del Tribunale di Napoli che ha congelato Conte e tutto il Movimento, rafforzando l’ex capo per inerzia. Ora Di Maio punta a un nuovo quadro: con l’avvocato ancora leader e presidente, certo, ma anche con una struttura diversa, meno schiacciata sul leader. E si aspetta garanzie, sul M5S che verrà: quella di poter decidere e contare, e di non essere ridotto a una riserva indiana con due o tre fedelissimi, insomma di avere voce in capitolo anche sulle liste per le prossime Politiche. “Serve un’intesa” ripete ai suoi da giorni. Un’intesa politica.

Virginia Raggi, la carta da vetta. Molti contiani continuano a ripeterlo, come un anatema: “Di Maio la vuole come nuovo capo al posto di Conte”. Paura immotivata – probabile – o giusto timore che sia, di certo l’ex sindaca di Roma resta una carta che può sparigliare. Con l’ex premier i rapporti sono tornati gelidi. Ben diversi da quelli con il ministro degli Esteri, che nel pieno dello scontro con Conte l’ha incontrata per un’ora, come a voler dire al leader e a tutti che Raggi sta con lui. Proprio come Di Maio, l’ex sindaca parla pochissimo in pubblico. Gode di poco consenso tra i parlamentari e Conte la giudica un’incognita difficile da decifrare. Ma per la base resta un’intoccabile. Grillo la sente spesso, e soprattutto volentieri. E ieri l’ha voluta vedere.

Patuanelli, contiano Il ministro contiano doc, il più severo anche pubblicamente con Di Maio, quello che nel governo Draghi è entrato con il mal di pancia e non l’ha mai celato. Stefano Patuanelli, capo delegazione di governo del M5S, ha da tempo rotto certi rapporti con i dimaiani che gli sussurrano contro sempre quell’accusa: “È schiacciato sul Pd”. Patuanelli, che il dialogo con il centrosinistra l’ha sempre sostenuto come priorità, rimprovera invece al ministro il suo giocare su mille tavoli, l’abitudine a muoversi nei palazzi da politico vecchia scuola. Dovunque vada l’agitata nave M5S, bisognerà rivolgersi anche al ministro, uno dei pochi che sa parlare con i gruppi parlamentari (o con ciò che ne resta). E forse uno dei pochi che Conte ascolta.

Di Battista, l’ex che c’è sempre L’ex meno ex della storia della politica, a cui il Movimento è rimasto incollato come una pelle. Alessandro Di Battista è sempre nei dibattiti, nelle ipotesi, perfino nelle scenate degli ex colleghi (“facile criticare da fuori”). Lui, coscienza critica o facile demolitore, continua a ricordare al M5S cos’era e cosa dovrebbe essere. Conte farebbe di tutto per riportarlo a bordo, così da recuperare consensi e rivitalizzare la base. Di Maio non ha la stessa urgenza, ma non farebbe muro. Di Battista aspetta e mette paletti: “Finché il M5S è nel governo Draghi…”. Ma prima o poi gli esecutivi finiscono.