Democrazia canaglia. Il Papa va in tivù e il premier non parla. Sua santità è andato in tv, domenica scorsa e si è fatto intervistare da Fabio Fazio. Enorme successo di ascolti, com’era prevedibile perché questo duetto è più storico del celebratissimo Morandi- Jovanotti sul palco dell’Ariston […]

(di Silvia Truzzi – Il Fatto Quotidiano) – È successo e forse poteva succedere solo con questo Papa: sua santità è andato in tv, domenica scorsa e si è fatto intervistare da Fabio Fazio. Enorme successo di ascolti, com’era prevedibile perché questo duetto è più storico del celebratissimo Morandi- Jovanotti sul palco dell’Ariston. A questo punto ci si domanda chi c’è dopo Francesco, quale personaggio più inaspettato e imprendibile, da portare in tv? Nessun altro capo di Stato di estero farebbe più notizia. Allora uno dice, vabbè è ovvio: Mina. La tigre non si vede in pubblico dal 1978, in quella famosa esibizione alla Bussola di Viareggio, a cui aveva assistito anche il Presidente Mattarella insieme alla moglie e al fratello Piersanti, assassinato nel 1980 dalla mafia. Ah già, un’intervista a Mattarella sarebbe il vero colpaccio. Ma è meno verosimile di quanto non fosse, fino a sabato 29 gennaio, il suo secondo mandato. I presidenti della Repubblica non si fanno intervistare! Certo, nemmeno i presidenti del Consiglio. Anzi no, questo presidente del Consiglio che fino al momento in qui andiamo in stampa non ha rilasciato un’intervista una a giornali, tv, siti web… Domenica è il compleanno del governo Draghi, che spegne una candelina (giurarono il 13 febbraio 2021). In questi dodici mesi sono successe molte cose nelle nostre esistenze, scandite da un numero sempre maggiore di divieti e obblighi a causa della pandemia. Il governo ha fatto scelte su cui si è discusso poco, anche perché il presidente del Consiglio non si è concesso mai. La scelta di prolungare il non più prorogabile stato d’emergenza (stando alla legge) è passata quasi in sordina. E non è cosa da poco, perché così è molto più facile limitare diritti costituzionali fondamentali come la libertà di circolazione. Era necessario? Era necessario farlo con decreto legge? Perché non c’è mai modo di lasciare che il Parlamento – lo ha chiesto il capo dello Stato nel suo più recente insediamento – faccia il suo mestiere, cioè legiferi – prendendosi la responsabilità politica di scelte che segnano così profondamente le nostre vite? E ora, anche se dovesse decadere lo stato di necessità, davvero si può pensare di limitare i diritti vincolandoli al possesso di green pass fino a metà giugno, senza dare spiegazioni?

Sulla decisione di imporre l’obbligo vaccinale in uno dei Paesi più immunizzati al mondo abbiamo già scritto. La Carta dispone che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Ciò vuol dire che si può fare, ma che l’imposizione rappresenta un’eccezione. E di questa scelta che entra pesantemente nel libero arbitrio dei cittadini bisognava rendere conto: Mario Draghi l’ha fatto, in una conferenza stampa arrivata con cinque lunghi e imperdonabili giorni di ritardo. Di questo ritardo, gli va dato atto, si è scusato forse anche per le critiche ricevute. Però è un ritardo che racconta l’abito mentale del presidente del Consiglio rispetto ai media. Che non sono solo i direttori di giornale con cui si sente spesso, sono soprattutto il mezzo attraverso cui il potere rende conto (o dovrebbe rendere conto) del proprio operato. “Rispondo alla parte accettabile della domanda” ha detto alla collega che gli chiedeva delle elezioni quirinalizie in quella stessa conferenza stampa. È un’affermazione che denota scarso rispetto non tanto per i giornalisti, che magari come categoria sono un po’ sputtanati, ma per i cittadini. Ci sono molti modi per aggirare una domanda a cui non si vuol dare seguito, e il peggiore è dire “Vietato chiedere”. Dopo le elezioni al Colle, Mario Draghi continuerà a fare il presidente del Consiglio per un altro anno, se tutto va come deve. Forse è il caso che si metta dalla parte della democrazia, relazionandosi con il popolo che governa. Siamo cittadini, presidente, non sudditi.